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Scuola umiliata, sciopero inevitabile

Il segretario generale della Flc Cgil, Francesco Sinopoli, spiega i motivi dell'astensione decisa dai sindacati: "L'istruzione continua a essere considerata una spesa da tagliare. Il cambiamento può arrivare solo con una mobilitazione dal basso"

29/11/2021
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Collettiva.it

Stefano Iucci

“Lo dico a malincuore ma con convinzione: gli impegni presi con il Patto per l’istruzione siglato sono stati disattesi dal governo in una legge di bilancio che avrebbe dovuto dare un segnale di svolta nelle politiche per la scuola pubblica. Purtroppo questa svolta non c’è stata anzi la scuola è umiliata. Per questo abbiamo proclamato lo sciopero della categoria". Francesco Sinopoli, segretario generale della Flc Cgil, spiega a Collettiva le ragioni che hanno portato Flc Cgil, Uil scuola, Snals-Confsal e Gilda Unams a proclamare lo stop del settore per il prossimo 10 dicembre. 

Tra i nodi irrisolti che hanno spinto i sindacati ad agire ci sono il contratto, il sovraffollamento delle classi, l’organico covid, il precariato. “Che le cose non stessero andando per il verso giusto – spiega – lo avevamo denunciato già in estate. Le risorse per lo sdoppiamento delle classi sono state tagliate e si è deciso, per contenere la pandemia, di puntare solo sul vaccino. Noi lo abbiamo detto fin dall’inizio: puntiamo alla massima copertura vaccinale, ma manteniamo tutte le misure necessarie a partire dal distanziamento. Coerentemente nel protocollo per la sicurezza abbiamo dovuto lottare per riconquistare strumenti e risorse che avevamo ottenuto in precedenza".

Come te lo spieghi questo cambiamento, rispetto alla firma del Patto ?

Evidentemente nel governo ci sono più anime, ma sulla scuola decide quella conservatrice o, come la chiamo io, neoliberista all’Italiana. Bisogna purtroppo riconoscere che alla fine ciò che risulta è un'idea della scuola pubblica in continuità con quella dei governi degli ultimi quindici anni e contro la quale continuiamo a batterci: quella per cui l'istruzione è una spesa da contenere. Si ragiona come si ragiona sulle pensioni: si taglia perché è un tipo di spesa facilmente aggredibile. Tutte cose molto evidenti nella legge di bilancio. Faccio un primo esempio: dopo aver giustamente convinto le scuole ad attivare contratti per collaboratori scolastici, fondamentali per pulizie e sanificazione, ora si prevede una proroga del cosiddetto organico covid solo per i docenti. Insomma: bisogna a tutti i costi trovare il modo per contenere le risorse.

Ci sono però le risorse del Pnrr...

Attenzione: bisogna fare chiarezza. I fondi del Pnrr sono a termine, possono essere utilizzati ad esempio per cose importanti come l’edilizia scolastica, ma se si vogliono affrontare questioni fondamentali come la dispersione scolastica e l’aumento del tempo scuola, il “luogo” giusto è il bilancio dello Stato perché bisogna ampliare gli organici. È qui che si dovrebbe registrare un’inversione di tendenza che invece non c’è: la scuola continua a essere considerata un secchio bucato dove non è bene mettere soldi.

A cominciare dal contratto. Voi giudicate del tutto insufficienti le risorse stanziate...

È una situazione che definirei indecorosa. Dopo due anni di pandemia – che hanno ampiamente dimostrato anche a chi non ne era consapevole quanto è stata importante la scuola e quanta fatica hanno fatto e continuano a fare lavoratrici e lavoratori in un contesto così difficile –, ci saremmo aspettati un segnale. E invece ci hanno “offerto” briciole...

Cioè?

Rispetto agli 87 euro stanziati nella precedente legge di bilancio, nella nuova manovra è prevista un’integrazione di 12 euro che non andranno neanche a tutti gli insegnanti, ma a premiare la “dedizione”, è scritto proprio così, di alcuni. È la solita retorica che rappresenta la scuola come un covo di insegnanti fannulloni che vanno dunque spinti a competere tra di loro per un po’ di briciole. L’intento è molto chiaro e ripropone un’idea presente nella vecchia “Buona Scuola”, la legge 107. 

Questo nonostante i sindacati denuncino da tempo il gap esistente con le retribuzioni dei colleghi europei...

Non solo. Faccio notare che il gap esiste anche con i profili di lavoratori equiparabili per titolo di studio nel resto della pubblica amministrazione e che arriva a 343 euro al mese.

Voi però avete sempre detto che i rapporti col ministro Bianchi erano buoni. Come si spiega questa “deriva”?

È così e questo apre un problema molto serio. Un problema politico e direi democratico. Chi decide le politiche della scuola? Il ministro competente o Draghi e i consulenti di Palazzo Chigi? E i partiti della maggioranza cosa pensano? Evidentemente concordano con le scelte che si stanno facendo. 

Tra le questioni che voi ponete al centro della vostra protesta c’è anche quella del precariato. A che punto siamo con le stabilizzazioni?

Discutiamo da mesi, sono questioni affrontate in tanti tavoli. Ma più di là non si va. Da 6 mesi si annuncia una riforma del reclutamento di cui però non v’è alcuna traccia. E intanto migliaia di precari rimangono tali e le abilitazioni non ripartono. Ma vorrei sottolineare in conclusione un altro tema importante: quella che riguarda l’amministrazione delle scuole. Anni e anni di tagli agli uffici scolastici regionali hanno finito per scaricare sui singoli istituti compiti e funzioni che non spetterebbero loro. Anche di questo si parlava nel Patto e anche su questo non è stato fatto ancora nulla. Insomma: ciò che accade sulla scuola dimostra che questo paese non lo cambieremo senza ricostruire dal basso la partecipazione democratica, senza mettersi in gioco, senza lottare. Non è tempo di deleghe in bianco anzi non lo è mai.


Presentazione del libro il 18 novembre, ore 15:30
Archivio del Lavoro, Via Breda 56 (Sesto San Giovanni).

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