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Sindacati in campo su merito, assunzioni e chiamata diretta

In audizione al senato: no a una riforma non condivisa

02/06/2015
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ItaliaOggi

Emanuela Micucci

Stop alla chiamata diretta degli insegnati da parte del preside, via il licenziamento dei docenti che hanno raggiunto i 36 mesi di servizio. Trasformare la stabilizzazione dei precari in un piano triennale di assunzioni per tutti coloro che hanno maturato i requisiti. Eliminare la presenza di genitori e studenti nel comitato di valutazione. Questi i punti fermi sul ddl Buona Scuola ribaditi, giovedì, dai 5 sindacati più rappresentativi della scuola alla Commissione istruzione del Senato. «Cinque ore di interventi, e tutti di segno negativo per una riforma che», sottolinea il segretario generale della Cisl Scuola Francesco Scrima, «non trova il consenso di nessuno e della quale sono stati sviscerati tutti gli aspetti che non vanno».

Tuttavia, «ci sono ancora i tempi per una più ampia condivisione» sul provvedimento, ricorda ai parlamentari il segretario generale della Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo. «Con questo testo, per molti aspetti confuso e contraddittorio, si prefigura un inizio d'anno scolastico a settembre all'insegna della confusione, del conflitto, del contenzioso», aggiunge Massimo Di Menna, leader della Uil Scuola. Il ddl, prosegue il numero uno della Uil scuola, «introduce un sistema di valutazione unico in Europa con super poteri del dirigente, con la presenza di genitori e studenti, senza riferimento alle competenze tecnico professionali necessarie».

Gli insegnanti, ha sottolineano i sindacalisti, non rifiutano di essere valutati, ma chiedono una valutazione seria, con risorse economiche che nel Ddl mancano, un nucleo competente e indipendente di ispettori formati ma oggi appena 70. «La chiamata diretta - osserva Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti - viola palesemente la Costituzione e provocherà la perdita di titolarità della cattedra, esponendo i neo assunti con incarico triennale al rischio di non avere il rinnovo del contratto nella scuola dove hanno insegnato per tre anni e di finire in un ambito territoriale, magari costretti a lavorare a molti chilometri lontani da casa, soltanto perché 'non graditi' dal dirigente scolastico». «Diverso sarebbe il discorso - nota Scrima - se riferito a particolari profili la cui disponibilità fosse richiesta da specifiche e peculiari 'curvature' del piano dell'offerta formativa» e, alla luce del nuovo organico dell'autonomia, per i posti che richiedano «personale in possesso di particolari e specifiche competenze»: l'assegnazione della sede potrebbe avvenire con precedenza per i soggetti che ne sono in possesso e che lo documentino nel loro curriculum in un «negoziato» tra preside e insegnate secondo modalità definite in ambito contrattuale.

Il Ddl poi, secondo la Fcl-Cgil, «interviene su una serie di materie oggetto di contrattazione nazionale e/o decentrata: dalla mobilità del personale, al salario accessorio e anche al trattamento economico tout court durante il periodo di formazione e apprendistato». Per il segretario generale dello Snals Confsal Marco Paolo Nigi «inaccettabile è anche la previsione che 'per l'adozione dei regolamenti, dei decreti e degli atti attuativi della presente legge' non è richiesto il parere dell'organo collegiale consultivo nazionale della scuola di cui si sono svolte recentemente le elezioni», cioè il Consiglio superiore della pubblica istruzione. E denuncia la definizione dell'organico dell'autonomia condizionata dal vincolo «nel limite delle risorse finanziarie disponibili» e «l'esclusione dalla legge di interi segmenti del personale scolastico», con riferimento agli Ata e ai docenti della scuola dell'infanzia.