Spesa istruzione, Italia maglia nera: peggio di noi solo la Grecia
Penultimi in graduatoria: solo l’8% della spesa pubblica investito nell’educazione. Sulla scuola i tagli più consistenti della spesa pubblica tra il 2007 e il 2013
Antonella De Gregorio
Dietro di noi, solo la Grecia. All’Istruzione l’Italia dedica (o almeno ha dedicato, in attesa del varo della riforma della Scuola, atteso a giorni) meno risorse di tutti gli altri Paesi Ocse. Eccezion fatta, appunto, per la sofferente economia ellenica. La spesa pubblica che va sotto la voce educazione è pari all’8% della spesa totale del nostro governo, a fronte di una media Ocse del 12,5%. La Grecia si ferma al 7,6%. Non ha più neanche il sapore della notizia, ma è la fotografia scattata dall’Ocse nel rapporto «Government at a glance» («Uno sguardo sulla pubblica amministrazione»), che mette sotto la lente la composizione della spesa dei Paesi Ocse per il 2013. Il rapporto analizza il debito pubblico italiano - che resta il terzo più alto dell’area Ocse (alle spalle di Giappone e Grecia) ed è tra quelli che sono saliti di più negli ultimi anni - e la posizione di bilancio sottostante del governo italiano, che è migliorata.
I tagli
Dalle statistiche Ocse risulta che l’educazione in Italia è la voce della spesa pubblica che ha subito la maggiore riduzione percentuale (-1,6%, il doppio rispetto allo -0,8 medio Ocse) negli anni dal 2007 (quando pesava per il 9,65% sul totale) al 2013: quelli della crisi. Un dato che, come ha sottolineato l’ultimo rapporto focalizzato sull’education, non ha però inciso sui punteggi ottenuti dai quindicenni italiani nei test Pisa: pur restando largamente sotto la media Ocse, i nostri ragazzi continuano a migliorare in matematica e scienze (mentre nella lettura, dove peraltro eravamo meno indietro, nell’ultimo triennio siamo rimasti al palo).
Conta «come» si spende
Non è quanto si spende, insomma, che fa la differenza tra i sistemi scolastici: il totale delle spese per l’istruzione conta meno che non la maniera con la quale le risorse sono utilizzate. Il Lussemburgo spende più del doppio del Pil per abitante dell’Italia, ma i suoi studenti quindicenni hanno competenze in lettura inferiori a quelle - pur basse - dei quindicenni italiani.L’Ocse stessa ha concluso che oltre un certo livello di spesa - più di 20mila dollari Usa pro capite all’anno per l’istruzione - non c’è più nessuna progressione nei risultati scolastici in lettura. I progressi sono vertiginosi solo nei paesi poveri, dove basta un leggero aumento delle risorse stanziate per migliorare di molto la media dei punteggi. Poi si raggiunge un tetto oltre il quale non si va.
I più virtuosi
I Paesi più virtuosi per investimenti nell’istruzione sono Islanda (16,9%, comunque in calo dal 19,18% del 2007), Israele (16,3%; era il 14%), Lettonia (15,7%) ed Estonia (15,4%; era 17,26%). La Germania ha una spesa costante negli anni (9,7%), con oscillazioni massime di mezzo punto percentuale. In contrazione anche la Francia (dal 10,13% del 2007 al 9,65%). Nel nostro Paese, quasi la metà della spesa complessiva viene assorbita dalle scuole secondarie (44,77% del totale). All’educazione primaria va il 37,37% della spesa. Al capitolo Ricerca e Sviluppo un’inezia: lo 0,23%.
La spesa
I dati Ocse mettono a confronto le diverse «uscite»: nel periodo 2007-2013: in Italia, a fronte di un aumento della spesa per il welfare del 3,9%, la spesa militare risulta scesa di appena lo 0,1%. la spesa italiana del 2013 è andata all’assistenza sociale-welfare (41,3%, contro il 32,4% della media Ocse), servizi pubblici generali (17,5%) e sistema sanitario (14,1%). Seguono affari economici (8,2%), educazione (8%, appunto), ordine pubblico (3,8%), difesa (2,3%), protezione ambientale (1,8%), politiche sull’alloggio e finanziamento a cultura e religione (1,4% ciascuna).