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Un giovane su 4 fermo alla terza media. E solo uno su 5 è laureato

Peggio di noi, quanto a laureati, solo Brasile, Cile e Turchia. E il titolo di studio da noi paga di meno: i disoccupati con la laurea sono il 16% contro il 5,3% della media Ocse

21/01/2015
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Corriere della sera

Antonella De Gregorio

Investire tempo e denaro per conseguire una laurea serve? Secondo il rapporto intermedio Ocse Education at a Glance sì, ma in Italia meno che in altri Paesi. Avere in tasca il «pezzo di carta», da noi non garantisce un’occupazione. Nei paesi Ocse sono il 5,3% i laureati senza lavoro, contro il 13,7% di chi non ha un diploma. Ma da questa media, alcuni Paesi si discostano: la Grecia, dove il tasso di disoccupazione resta ancora abbastanza alto - 33,1% - tra i giovani adulti (25-34 anni) con istruzione post secondaria, l’Italia (16%), il Portogallo (18,4%), la Slovenia (10,8%), la Spagna (20,8%) e la Turchia (11,1%).

Qualifiche basse

Più alti livelli di istruzione, è la premessa, vanno di pari passo con un maggior benessere, per l’individuo e la società: più salute, più partecipazione, tassi di occupazione più elevati e maggiori guadagni. Incentivi a puntare sull’educazione. E un impegno pressoché comune, negli ultimi decenni, soprattutto per quel che riguarda le generazioni più giovani: nella maggior parte dei Paesi Ocse, più di 4 giovani su cinque hanno almeno un titolo di scuola superiore; sono meno del 20% quelli con qualifiche «elementari»; e il 40% i giovani adulti con una laurea o un titolo equivalente. Grandi le differenze: con Canada, Irlanda, Corea sopra (anche di molto) la media; e Italia (insieme a Messico, Austria, Germania, Portogallo e Turchia), sotto anche di 10 punti percentuali e più: alla laurea o titolo equivalente sono arrivati 23 italiani su 100 tra i 25 e i 34 anni, 50 su 100 hanno completato le scuole superiori, 17 su 100 si sono fermati al diploma di scuola media o alla licenza elementare. All’interno del gruppo più «scarso» pesano le diverse «caratteristiche-Paese»: in Austria e Germania c’è un forte sistema di formazione professionale che assorbe il 60% della popolazione di giovani adulti: ci sono meno laureati, insomma, ma molti tecnici qualificati; mentre in Italia (e Messico, Turchia e Portogallo), gli adulti, sia «maturi» (55-64 anni) che giovani (25-34 anni) con profili più «bassi», raggiungono la quota massima. In Portogallo e Spagna la proporzione di 25-34enni con la sola licenza elementare o media è di oltre il 30%, mentre in Messico e Turchia più della metà dei 25-34enni non ha raggiunto un diploma di scuola superiore.

Più «N.e.e.t.»

In generale, dice l’Ocse, tra il 2000 e il 2013 i titoli di studio di livello superiore sono aumentati (del 10%), facendo retrocedere la quota di popolazione con la sola licenza media o elementare. Nel 2013, 33 cittadini dell’area su 100 hanno una laurea nel cassetto. Un goal messo a segno soprattutto dalle generazioni più giovani. Non quella italiana, però. Che detiene un altro non onorevole primato: sempre in compagnia dei coetanei greci, spagnoli e turchi, molti giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni (maschi soprattutto) sono in condizioni di «Not in Education, Employment or Training» (Neet): più del 30%, disoccupati o inattivi e fuori dal giro della formazione. La più alta percentuale in Turchia, unico tra i quattro, però, a mostrare un calo tra il 2005 e il 2013: dal 50% al 36%. La Germania, per dire, è scesa dal 19% dei giovani Neet nel 2005 a 10% nel 2013 (contro una media Ocse del 18%).

Studio e lavoro

Un capitolo della ricerca è dedicato al tempo dedicato ad attività lavorative mentre si continua ad andare a scuola: in alcuni Paesi è considerato normale studiare e lavorare insieme, non è (ancora) così in Italia, dove la popolazione dei 20-24enni inattivi perché ancora sui libri è tra le più importanti: meno del 5% lavora per 10 ore a settimana, contro il 50% dei coetanei di Canada, Stati Uniti e Islanda, che arrivano a lavorare anche 34 ore a settimana..

Questione di genere

Nella maggior parte dei paesi la condizione di Neet è simile tra uomini e donne; l’Italia è il Paese con il divario di genere più basso, mentre ci sono più di 25 punti percentuali di differenza (a svantaggio delle donne), in Messico e Turchia. In Lussemburgo, il 5% delle donne sono Neet a fronte del 12% di uomini.

Donne più istruite

Le donne, poi, sono in genere più istruite, soprattutto quelle di età tra i 25 e i 34 anni: il 46% ha una laurea, rispetto al 35% dei coetanei maschi. Più corta la distanza tra 55-64enni: 24% le donne «titolate», contro il 26% di uomini. Più pesante, il gender gap, sul lavoro: il 66% di donne occupate, contro l’80% di uomini. Un solco più profondo quando i titoli di studio sono meno qualificati: la differenza tra impiegati maschi e femmine è del 20% tra chi ha una licenza di scuola media, del 15% per chi ha un diploma di scuola superiore, del 10% tra laureati (con 88% di uomini e 79% di donne al lavoro).

«Distanti università e lavoro»

«Quando si guarda alla scuola in Italia si può affermare che ci sono stati molti e significativi miglioramenti negli ultimi dieci anni. Lo si vede, ad esempio, dai risultati del Pisa test», ha detto Andreas Schleicher, il responsabile dei programmi su innovazione e competenze dell’Ocse. «Quando si guarda invece all’educazione dopo la scuola sono molto più scettico, il legame fra educazione e mondo del lavoro è molto debole», ha aggiunto, sottolineando che in particolare l’università è «distante» dall’ambito professionale. Schleicher ha espresso dubbi anche su quanto fatto in Italia in fatto di formazione dei disoccupati. «Molti soldi sono stati spesi negli ultimi anni, ma molto poco è stato raggiunto».


Presentazione del libro il 18 novembre, ore 15:30
Archivio del Lavoro, Via Breda 56 (Sesto San Giovanni).

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