Università, il grande balzo delle ragazze
Da Roma a Londra, un distacco netto sugli studenti nelle iscrizioni e nelle lauree
I dati sull’accesso a università e master prefigurano un cambiamento importante. Se le competenze per esercitare il potere economico e politico nascono negli atenei, allora le donne nei Paesi avanzati stanno scalando velocemente posizioni. Nel Regno Unito le studentesse sono 60 mila più degli studenti. E in Italia? Dati simili: 56% di ragazze, 44% di ragazzi. Proporzioni invertite anche fra i laureandi.
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA Forse, un giorno, le donne governeranno il mondo. Non che adesso ne manchino, o ne siano mancati, esempi illustri: la regina Elisabetta o Angela Merkel in testa, Hillary Clinton in ascesa, Margaret Thatcher nel passato. Ma i numeri sono davvero marginali. Sui 193 Paesi rappresentati alle Nazioni Unite o sui 195 riconosciuti dal Dipartimento di Stato americano solo 22 hanno una signora al vertice dello Stato. Una su dieci. Il che la dice lunga sullo squilibrio di genere e di potere. I maschi dominano. Ma per quanto?
Sarà pure azzardato guardare al futuro lontano però gli indizi statistici vanno colti. E la lettura dei dati sull’accesso all’istruzione terziaria, università e master, ci aiuta a prefigurare un ribaltone o, anche con meno enfasi, un cambiamento importante. Se le competenze per l’esercizio del potere economico e politico nascono negli atenei, allora si può affermare che le donne nei Paesi avanzati stanno scalando posizioni. Quanto meno nelle aule di lezione.
Il Times di Londra, ieri, ha osservato con un certo stupore che nel Regno Unito sui 409 mila nuovi immatricolati nelle università, 235 mila sono studentesse, 60 mila più degli studenti, e che le proporzioni fra laureandi sono invertite rispetto a 40 anni fa: 43 per cento di uomini e 57 di donne. Il divario cresce. La svolta era già stata sottolineata nel 2010 ma da allora il trend si è consolidato, portando a un’assoluta predominanza femminile nel campo della legge, delle scienze sociali e della medicina.
Ma ciò che il Times non ha fatto è stato di allargare l’orizzonte oltre Manica. Altrimenti avrebbe scoperto che le università, non solo britanniche, stanno incubando un domani con le professioni, le conoscenze, le abilità intellettuali declinate con maggiore decisione verso l’universo rosa.
Siamo poco propensi a guardare in casa nostra ma l’Italia è da tempo che va di corsa anticipando Londra. Scorrendo gli ultimi numeri del ministero si legge che nel 2013-2014 le ragazze immatricolate sono state 140 mila e i ragazzi 122 mila. Poi: che complessivamente le iscritte sono 943 mila e gli iscritti 728 mila. Non mancano le eccezioni, come al Politecnico di Milano dove i maschi sono il doppio delle femmine. Ma persino alla Bocconi, ormai siamo al 50 e 50. Mediamente la popolazione universitaria italiana, iscritti e laureati, è composta dal 56% di ragazze e dal 44% di ragazzi. Come negli Stati Uniti che da anni registrano il sorpasso. Con il caso a parte di Yale, che nel 2014 ha segnalato una sostanziale parità fra gli iscritti, 6.295 maschi e 6.041 femmine. Ma con Berkeley, altra eccellenza, che va in direzione opposta: le ragazze sono 13.722 contro i 12.598 ragazzi.
Il Regno Unito, nonostante il capo di Stato sia una signora, nella politica è un Paese a fortissima vocazione maschile. Due istituzioni come Oxford e Cambridge, tradizionali serbatoi di ministri e premier, lo confermano. A Oxford, dove l’Italia ha 333 iscritti (secondo Paese europeo dopo la Germania, esclusa la Gran Bretagna) gli studenti «undergraduate», la nostra triennale, sono il 53% (6.262) e le studentesse il 47 (5.441). A Cambridge poco cambia: 54% e 46%. Non c’è la parità ma, anche qui, poco alla volta si avvicina.
Nelle università sta avvenendo la «rivoluzione silenziosa» che muterà la mappa del sapere e del potere. L’ Economist , due mesi fa, titolò in copertina: «Il sesso più debole». Si riferiva proprio ai maschi. Non era una provocazione. Il futuro è segnato. Lo si voglia o no .
Fabio Cavalera
@fcavalera