Università, non si laureano i poveri e i ragazzi del Sud
Il Rapporto Almalaurea: per studiare e lavorare, si «fugge» al Nord e all’estero. Solo il 66% dei laureati trova lavoro dove ha studiato
di Antonella De Gregorio
(Im)mobili
Solo tre diciannovenni su dieci proseguono gli studi dopo le superiori, 22 su cento arrivano alla laurea, tra i 25 e i 34 anni, contro la media Ocse del 39%. Un «ritardo di scolarizzazione», confermato da tutte le più recenti statistiche e che Almalaurea tratteggia nel «Profilo dei laureati 2014», presentato giovedì a Milano, all’università Bicocca. Un’analisi che sottolinea anche una difficoltà nell’inserimento dei neolaureati italiani nel mercato del lavoro che non ha equivalente in altri Paesi e che mette in luce «fenomeni di brain drain crescenti, all’aumentare del livello di istruzione». Le rotte dei «cervelli in fuga» muovono dal Meridione al Nord, dalle regioni settentrionali verso l’estero. Solo il 66% dei laureati resta «stanziale», ossia trova un lavoro nell’area dove ha frequentato l’università. Dal Sud se ne va a 5 anni dalla tesi il 39%, provocando un inevitabile impoverimento di quelle regioni. Mentre dal Nord vanno all’estero, per opportunità oltre che per necessità, il 10% dei laureati. Tra i laureati che migrano verso l’estero il 41% vede molto improbabile il rientro in Italia, cui si aggiunge un ulteriore 39% che lo ritiene poco probabile.
Fuga di cervelli
Quello della mobilità territoriale è un «fenomeno complesso» e «per certi versi positivo, mediante il quale studenti e atenei valorizzano a pieno le proprie potenzialità, realizzano l’incontro fra domanda e offerta didattica e coltivano l’internazionalizzazione», sostiene Giancarlo Gasperoni, che ha curato questa parte del Rapporto. «Ma la mobilità riflette anche il profondo divario sociale ed economico che caratterizza le regioni italiane e l’incapacità del Paese di trattenere i suoi giovani più dotati - dice Gasperoni -. Con le regioni meridionali e insulari che ogni anno perdono circa la metà dei loro giovani migliori a favore del Settentrione».
All’estero
Quanto alla mobilità verso l’estero per motivi di lavoro, «è alimentata soprattutto da laureati del Nord e in generale più brillanti e meglio formati», prosegue il docente. «La “fuga dei cervelli” è asimmetrica, non compensata da una capacità di attirare dall’estero capitale umano qualificato. Nel complesso si registra dunque un deficit di equità e di efficienza che esige un maggior impegno sul piano dell’allocazione delle risorse».
Risorse
Risorse che vanno sicuramente aumentate («un laureato italiano costa, in termini di risorse pubbliche e private assorbite e a parità di potere di acquisto, la metà di un laureato tedesco e circa il 30% in meno della media dei paesi Ocse»), ma soprattutto «allocate» secondo criteri di equità: «Qualsiasi azione finalizzata a valutare e premiare la performance degli atenei, deve tenere conto che il ritardo nei livelli di scolarizzazione delle famiglie e di apprendimento dei giovani si manifesta in maniera differenziata sui territori. Se l’allocazione delle risorse non riconosce questi elementi, non solo non sarà meritocratica, ma è destinata ad alimentare una polarizzazione crescente che penalizzano soprattutto gli studenti più capaci ma meno mobili, e residenti nei contesti meno favoriti».
I ranking
La polarizzazione poi è «aggravata dall’utilizzo di ranking delle università, il cui effetto è di indurre le famiglie residenti in contesti svantaggiati che se lo possono permettere a iscrivere i propri figli nelle università ai primi posti nelle classifiche». Meglio, secondo il consorzio, usare un sistema non di ranking ma di «rating», che «restituisce alle università, ai giovani e alle Istituzioni un meccanismo di analisi oggettivo e trasparente che tiene conto di più variabili». Non una bocciatura della valutazione, ma un invito ad agire con cautela sulla base di indicatori di performance «normalizzati», che tengano conto di tutte le variabili in gioco.
Avanti i più fortunati
Tra i risultati presentati dal consorzio, che con 72 atenei rappresenta il 91% della popolazione dei laureati italiani e con le sue indagini ne monitora le performance formative e occupazionali, emerge anche che nascere in famiglie in «condizione socioeconomica fortunata» e con genitori laureati, porta i ragazzi a studiare di più e a scegliere discipline che offrono retribuzioni e chances lavorative migliori. Tra i laureati triennali - dice Almalaurea - il 25% proviene da famiglie dove almeno un genitore ha la laurea, tra i magistrali a ciclo unico la percentuale raddoppia. E tra i laureati del 2014, uno su quattro ha alle spalle famiglie di estrazione più elevata, percentuale che scende al 20% tra i triennali e tocca il 35% tra i magistrali a ciclo unico. Ancora: tra i triennali del 2013 risulta iscritto alla magistrale il 55%, percentuale che cresce fino al 67% tra i laureati di primo livello con almeno un genitore laureato e scende al 36% tra coloro che provengono da contesti famigliari dove è presente al massimo la licenza elementare. Analoga tendenza si trova in riferimento allo status socioeconomico della famiglia di origine. Un contesto di «immobilità» sociale, lo definiscono i ricercatori, che, unito alle peculiarità di un mercato del lavoro «condizionato dalle reti di relazioni e dalla prevalenza di canali informali di reclutamento, come rischia di affievolire ulteriormente il ruolo dell’istruzione avanzata come ascensore sociale», spiega il professor Francesco Ferrante, che ha curato parte del Rapporto.
Profondo Rosso
Ma tutti i più recenti dati diffusi sulle università italiane sono da «Profondo rosso»: una vite che ruota su se stessa e affonda sempre più. A partire dai numeri relativi alla popolazione degli atenei, diffusi dal Miur, che confermano una volta di più il calo degli iscritti: nell’anno accademico 2014/15, sono 71,784 in meno, il 4,23 per cento. Gli immatricolati al primo anno diminuiscono di 737 unità. I laureati calano di 37.616 (sono in tutto 258.052 nel 2014). «È il dato peggiore dalla stagione 2003-04», ha commentato l’Udu, l’Unione degli Universitari, Giovani che abbandonano gli studi e università che si svuotano, soprattutto al Sud: -3.343 immatricolati negli atenei meridionali (-3,98% rispetto allo scorso anno) contro un +1.234 di quelli del Nord (+1,25%) e +1.372 del Centro (+1,58%).
Poi ci sono le cifre dell’Ocse, appena pubblicate, che descrivono un’ulteriore parabola discendente, con il primato dell’Italia per dispersione scolastica e il crollo di 12 punti percentuali dell’occupazione dei giovani tra i 15 e i 29 anni fra il 2007 e il 2013, con la cifra record del 26% di Neet sotto i 30 anni. Ma è sempre Almalaurea a sostenere che la laurea è ancora utile nella ricerca del lavoro: 66 laureati su 100 trovano un’occupazione già a un anno dal titolo e 90 su 100 entro cinque anni.
Spaccature
E se Almalaurea ha chiuso la presentazione del XVII Rapporto chiedendo «maggiore impegno in termini di risorse umane e finanziarie», gli studenti fanno eco: quelli di Link-Coordinamento Universitario dicono che «Servono al più presto norme in controtendenza rispetto a quelle attuali nella ripartizione dei fondi che, con l’aumento della quota premiale, non fanno che rendere ancora più profonda la spaccatura tra Nord e Sud, obbligando gli atenei a competere in un regime di risorse scarse per strapparsi l’un l’altro i fondi a disposizione». E l’Udu invita il governo a «leggere con attenzione l’indagine Almalaurea». «Ne trarrebbe - dice Gianluca Scuccimarra, coordinatore nazionale - gli elementi per comprendere che è indispensabile tornare a investire nei nostri Atenei, nella formazione post-laurea e in un sistema di diritto allo studio che consenta davvero di ridurre le disparita’ sociali e perseguire le pari opportunità per tutti gli studenti».