Disegno di legge Gelmini sull'Università, incontro al Ministero. Le nostre osservazioni
Convocata una seduta di ascolto delle parti sindacali e rappresentative sul DDL approvato il 28 ottobre 2009 dal Consiglio dei ministri.
>> Il nostro commento <<
Nella giornata di ieri, 11 novembre, il Miur ha convocato un incontro per ascoltare le parti sindacali e rappresentative, intese in senso lato, sul testo di DDL per l’Università approvato in Consiglio dei Ministri. All’incontro erano presenti per il Ministero il Direttore, dott. Tomasi, e il consigliere del Ministro prof. Schiesaro con i loro collaboratori. Non erano presenti né il Ministro né il Capo di Gabinetto. Per le parti convocate, oltre a tutte le organizzazioni e associazioni della docenza universitaria, ai dottorandi e agli studenti dell’UDU, erano presenti diverse sigle di precari e ricercatori dall‘incerta rappresentatività.
L’incontro è stato di fatto una seduta di ascolto, nella quale il Miur ha ascoltato gli interventi di tutti i presenti, necessariamente contenuti rispetto alla vastità della materia in discussione, senza interloquire. La maggioranza degli intervenuti ha espresso punti di vista critici sui principali aspetti del provvedimento, sia sul piano del metodo adottato per la sua presentazione, sia per i suoi contenuti. Nel suo intervento, la FLC Cgil ha formulato le seguenti osservazioni:
-
Nel dicembre 2008 il Ministro si era impegnata ad aprire tavoli sui singoli temi dell’Università per istruire i percorsi decisionali; ci si ritrova undici mesi dopo con un DDL approvato. Dov’è la sbandierata partecipazione della comunità accademica? E’ intenzione del Ministero proseguire così, o ci saranno appuntamenti veri di confronto per modificare i testi?
-
L’impianto del decreto tocca aspetti cruciali di funzionamento e organizzazione dell‘Università. E’ evidente che modifiche così rilevanti non possono essere attuate a costo zero, se non a prezzo di trasformarsi in pure enunciazioni programmatiche. Si pensi ad esempio alle politiche del reclutamento. Dove sono i soldi, visto che le previsioni di finanziamento prevedono un decremento di oltre il 25% nei prossimi 4 anni?
-
La formulazione materiale del DDL appare fortemente differenziata: la parte sulla governance (Titolo I) più che una legge delega sembra una legge ordinaria, poiché ha un carattere minuziosamente prescrittivo e vincolante, e indica un modello organizzativo preciso ed omogeneo cui tutti gli Atenei devono attenersi nella riscrittura degli Statuti, al punto da configurare una netta invasione di campo nei confronti dell’autonomia statutaria. Il Titolo II, viceversa, (Qualità ed efficienza del sistema universitario) che contiene un gran numero di atti di riorganizzazione fondamentali, è ancorato a criteri larghissimi ed indeterminati negli obiettivi, che lasciano al Governo margini di interpretazione amplissimi, al punto da configurare un eccesso di delega. Alle Università si impone un modello unico, il Governo si lascia le mani libere.
Nel merito dei contenuti, abbiamo espresso la nostra contrarietà, al di là dei singoli contenuti, all’intero impianto della governance. La scelta di concentrare il potere nel Rettore e nel CdA svuotando gli organi elettivi, di fatto solo genericamente consultivi, accentua il carattere centralistico e autoritario dell’istituzione, aprendo a pulsioni aziendalistiche nella natura e composizione degli organi stessi. Se esiste disordine ed inefficienza nella democrazia di Ateneo, non è con illusorie scorciatoie tecnocratiche che si riporterà ad efficienza, ma solo ricercando una equilibrata distribuzione di poteri e funzioni, responsabilizzando l’autonomia e valorizzando la democrazia in una chiave di responsabilità regolata.
Sul Titolo II, l’ampiezza dei criteri rende difficile un giudizio in assenza di una esplicitazione delle intenzioni che, a testo vigente, appaiono in qualche caso sibillinamente minacciose: che cosa significa “revisione del trattamento economico e della progressione economica”? e come si traduce la “verifica dello svolgimento dell’attività didattica e di servizio”? (con il cartellino?). Alcune previsioni, poi, appaiono in palese contrasto con l’autonomia.
Sul Titolo III, abbiamo osservato che il testo mette a regime un modello di reclutamento non meno discutibile di quello attuale. La scelta di attribuire per intero agli Atenei la scelta di reclutare, con il solo filtro di un’idoneità nazionale, aumenterà prevedibilmente il tasso di opacità dei concorsi. Noi siamo per una forte valorizzazione dell’autonomia di Ateneo, che deve però essere bilanciata dal contrappeso di una valutazione efficace, pervasiva e dotata di conseguenze positive e negative. Oggi siamo all’enunciazione della volontà di un sistema di valutazione, ed occorreranno anni per vederlo (forse) funzionare. Assegnare agli Atenei una discrezionalità totale in assenza di controlli significa scegliere il contrario del merito e della trasparenza, incoraggiando le cattive pratiche già diffuse.
Il DDL poi non affronta la questione del riconoscimento per le figure che da decenni attendono una soluzione: ricercatori in primo luogo, ma anche lettori e CEL. La scelta di assumere solo ricercatori a tempo determinato ha per effetto la messa ad esaurimento di 20.000 ricercatori in servizio per i quali, credibilmente, si apriranno scarsissime possibilità di uscire dal recinto della terza fascia, sia per la mancanza di fondi e di concorsi, sia perché i pochi posti di associato saranno prevedibilmente assorbiti dai futuri ricercatori a tempo determinato. Occorrerebbe poter contare su una previsione di 2000 nuovi associati l’anno per tutti i prossimi anni, per poter rispondere al problema, ma è evidente che lo scenario finanziario è completamente diverso. Di nuovo, è chiaro che c’è un intreccio ineludibile tra il tema del finanziamento e le riforme normative: le seconde sono vuote senza il primo.
Inoltre, nel prevedere una sorta di “tenure track” di sei anni a tempo determinato, il DDL conferma tutte le forme di precariato esistente, dagli assegni di ricerca ai contratti di insegnamento. Il risultato sarà che il contratto da ricercatore a tempo determinato diventerà una forma precaria ulteriore, seppure meglio trattata, che si aggiungerà al precariato esistente, aumentando il disordine del mercato del lavoro intellettuale. Potranno ulteriormente alternarsi, con sapiente dosatura, assegni, Co.Co.Co. e T.D., portando l’età del reclutamento ben oltre i 40 anni.
Il presupposto del tempo determinato era che esso assorbisse tutte, o gran parte, delle forme di precariato esistenti; in questo modo si aumenta solo la concorrenza tra poveri. Inoltre, il DDL nulla dice sul rapporto tra tempi determinati in accesso e quanti verranno stabilizzati; è chiaro che, se il rapporto tra T.D. e stabilizzati dopo sei anni è pari a 20:1, la formula è di per sé squalificata.
Anche su questa parte, dunque, la FLC ha espresso un giudizio di contrarietà, chiedendo di mettere mano in modo radicale ad una ridefinizione inequivoca e risolutiva.
Alla conclusione degli interventi, il Miur ha registrato le osservazioni ed ha annunciato la volontà di dare seguito alla discussione attraverso sessioni tematiche da riconvocarsi nelle prossime settimane.
Come sempre, prendiamo atto delle cose dette, e parteciperemo a tutte le occasioni utili per modificare il testo. Ma ci è chiaro che nelle prossime settimane il messaggio più forte nei confronti del DDL deve venire dalla mobilitazione degli Atenei, il cui primo appuntamento nazionale è per il 20 novembre alla Sapienza di Roma.
Roma, 12 novembre 2009