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Legge di bilancio 2024, contratti pubblici e stipendi dei docenti universitari

L’inadeguatezza e il ritardo nei rinnovi dei contratti pubblici colpisce anche la docenza universitaria. Per questo è importante scioperare non solo in solidarietà con gli altri lavoratori e lavoratrici, non solo per difendere diritti generali e chiedere una svolta nelle politiche economiche, ma anche per difendere gli stipendi.

08/11/2023
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Gli stipendi del personale docente delle università (RTD, RTI, PA e PO) si adeguano all’inflazione sulla base degli stipendi dei dipendenti pubblici dell’anno precedente, con aumenti conseguenti ai rinnovi dei loro CCNL [è il cosiddetto Adeguamento Istat]. Il meccanismo previsto dalla normativa [art. 24, comma 1 della legge 448/1998] agisce tramite un Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che come ben sappiamo di solito arriva tra luglio e l’autunno [ma negli ultimi anni spesso con ritardi], comunque con gli arretrati degli aumenti dal primo gennaio dell’anno di riferimento. Questo meccanismo, però, determina non solo che gli aumenti definiti contrattualmente per la pubblica amministrazione siano trasferiti ai docenti universitari solo l’anno successivo alla loro effettiva erogazione (come per il resto del personale non contrattualizzato), ma che in pratica questi aumenti non prendono mai in considerazione gli eventuali arretrati degli anni precedenti [come invece avviene per il personale contrattualizzato, che quando chiude in ritardo un CCNL spesso ha comunque arretrati relativi anche agli anni precedenti).

Il rinnovo ritardato 2019/21 ci ha così già ha fatto perdere negli ultimi tre anni più di un mese di stipendio [3/4 mila euro lordi per RTD, 3/6 mila per gli RTI, 5/9 mila per gli Associati, 7/12 mila per gli Ordinari], come si può vedere dalla tabella qui sotto. Infatti, gli Adeguamenti ISTAT dal 2019 al 2022 hanno registrato nei vari anni solo gli aumenti conseguenti ai rinnovi 2016/18, a loro volta in ritardo [sono infatti iniziati nel 2018 e si sono conclusi con le ultime dirigenze solo a dicembre 2020, con aumenti erogati dal 2021]. Complessivamente, infatti, in questi anni abbiamo avuto Adeguamenti ISTAT per una cifra superiore al 5% (visti gli aumenti complessivi nella pubblica amministrazione, compreso il comporto sicurezza e le varie dirigenze), distribuita progressivamente nei vari anni [0,11% nel 2018; 2,28% nel 2019; 1,71 nel 2020; 0,91% nel 2021; 0,45% nel 2022], ma non si è ancora potuto registrare gli aumenti del CCNL 2019/21 (i cui rinnovi sono iniziati a partire il 10 maggio 2022 con quello della Funzioni centrali, gli organi dello Stato e del parastato, e che quindi si trasferiranno sugli Adeguamenti ISTAT solo a partire dal 2023, di cui ancora attendiamo il relativo DPCM).

Retribuzione annua tempo-pieno

Retribuzione annua Tempo Pieno [stipendio base, Assegno Aggiuntivo e Indennità integrativa Speciale]

L’aumento previsto dal governo nella Legge di bilancio 2024 per i dipendenti pubblici contrattualizzati (al di là del pacco di Natale, gli anticipi previsti per loro in un Decreto di queste settimane) copre in realtà solo un terzo dell’inflazione di questi anni (6,6% annuo per il 2022 e 2023, 2,9% previsto per il 2024): la manovra del governo stanzia infatti risorse solo per aumenti del 5,78%, a fronte di un’inflazione complessiva di oltre il 16%. Anzi, copre solo un terzo dell’inflazione non considerando i costi energetici, perché queste cifre si riferiscono solo all’IPCA depurata [l’indice che è stato usato in questi anni come base per il rinnovo dei contratti privati], non all’inflazione reale [che, ricordiamo, nel 2022 è stata il doppio di quella depurata].

Dal 2026, quindi, perderemo (se tutto va bene secondo le intenzioni del governo, se si rinnovassero nel 2024/25 i CCNL pubblici con queste cifre) almeno 4.000 € annui lordi per i livelli iniziali RTD e RTI (+ di 300 € al mese), 5.000 mila € annui per quelli PA (+ di 500 € al mese), 8.000 per quelli PO (+ di 600 € al mese): il corrispettivo di più di un mese di retribuzione ogni anno. Come si evince infatti dalla tabella, gli stipendi che ci sarebbero erogati secondo le risorse stanziate (dal 1.1.2025 o dal 1.1.2026, a seconda di quanto si chiuderebbero i CCNL pubblici), anche sommandosi agli Adeguamenti ISTAT in coda dai contratti precedenti, mostrano infatti un’evidente differenza con quelli che avremmo dovuto prendere se ci fosse un semplice adeguamento anche solo all’inflazione depurata dai costi energetici.

È tempo anche per noi di scioperare. La CGIL e la UIL, il prossimo 17 novembre, hanno dichiarato uno sciopero di tutti i settori soggetti a regolazione pubblica, compresa l’Istruzione e la ricerca, e quindi la docenza universitaria. Uno sciopero che sarà generale, articolandosi con gli altri settori che sciopereranno a seconda dei territori (lo stesso 17 novembre in centro, il 20 in Sicilia, il 24 al nord, il 27 in Sardegna e il 1° dicembre al sud). Uno sciopero contro le politiche economiche e sociali delineate nella Legge di Bilancio (dalla riforma fiscale all’indurimento della legge Fornero sulle pensioni), ma anche contro l’autonomia differenziata, il precariato e i processi di privatizzazione nei settori della conoscenza, per il rilancio dei servizi pubblici universali (a partire da scuola, università e sanità). Lo sciopero generale, però, riguarda anche la questione del salario e dei contratti pubblici, perché chiediamo appunto risorse adeguate a coprire almeno l’inflazione.

Uno sciopero generale anche per invertire il taglio delle risorse all’università. Il FFO 2024 sarà leggermente ridotto nelle sue risorse nominali, secondo quanto previsto dalle tabelle allegate alla Legge di bilancio. Sarà colpito molto più duramente nella sua capacità di spesa dall’inflazione. Sarà ulteriormente compresso, nella sua effettiva disponibilità, dalle risorse che dovranno esser destinate all’adeguamento degli stipendi, per l’effetto combinato dell’andata a regime degli aumenti del CCNL 2019/21, degli Adeguamenti ISTAT relativi, degli anticipi previsti dal governo per il rinnovo 2022/24. Questo sciopero generale chiede allora che le risorse che ci sono (o che sono da trovare dove ci sono) siano investite su salari, pensioni, servizi e investimenti pubblici, invece che favorire l’evasione o il lavoro autonomo (con tassazioni agevolate, bonus e concordati preventivi).

L’inadeguatezza e il ritardo nei rinnovi dei contratti pubblici colpisce quindi anche la docenza universitaria. Per questo è importante scioperare anche noi: non solo in solidarietà con gli altri lavoratori e lavoratrici, non solo per difendere diritti generali e chiedere una svolta nelle politiche economiche, ma anche per difendere i nostri stipendi.

Note alla tabella

* Dato presunto al 6% (il più favorevole), in relazione ai rinnovi dei CCNL pubblici 2019/21, diversi per settore e ancora in corso (parte dirigenza), difficile da calcolare nella loro combinazione complessiva e distribuzione annua.

** Importo complessivo dell’Adeguamento Istat non ottenuto nel 2020, 2021 e 2022, sulla base degli aumenti progressivi dei CCNL 2019/21 firmati o in corso di rinnovo (0,85% dal 1.1.2019, 1,57% dal 1.1.2020, 3,78% più altre indennità dal 1.1.2021, diverse tra settori, per un importo totale intorno al 6%, come prima ricordato).

*** Per il calcolo si è usato l’IPCA depurato: 6,6% per il 2022, 6,6% per il 2023 e la previsione del 2,9% per il 2024.

**** Adeguamento ISTAT prevedibile dal 2025/26, se si rinnovassero i Ccnl pubblici 2022/24 entro il 2024, con aumenti al 5,78%, secondo quanto previsto dalla Legge bilancio 2024.

Presentazione del libro il 18 novembre, ore 15:30
Archivio del Lavoro, Via Breda 56 (Sesto San Giovanni).

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