Emendamento al DDL Madia sull'accesso ai concorsi. Un anticipo di cosa il Governo intende fare per l’Università
Approvato un indecente emendamento, proposto dall’Onorevole Meloni, alla Riforma della Pubblica Amministrazione.
Nel corso della discussione sulla riforma della pubblica amministrazione è stato approvato un emendamento che riguarda i concorsi pubblici: oltre al voto di laurea conterà anche l’università nella quale si è conseguito il titolo. L’emendamento al disegno di legge in discussione in commissione alla Camera parla infatti di “superamento del mero voto minimo di laurea quale requisito per l’accesso” e “possibilità di valutarlo in rapporto ai fattori inerenti all’istituzione che lo ha assegnato”.
L’emendamento, proposto da Marco Meloni del PD e approvato dal Governo, oltre ad avere un carattere palesemente anticostituzionale, rappresenta il tentativo ulteriore di classificare gli atenei italiani sulla base di criteri semplicistici ed arbitrari, in ogni caso sempre oscuri. Di seguito il testo dell'emendamento:
Al comma 1, dopo la lettera b), aggiungere la seguente: b-bis) superamento del mero voto minimo di laurea quale requisito per l'accesso ai concorsi e possibilità di valutarlo in rapporto a fattori inerenti all'istituzione che lo ha assegnato e al voto medio di classi omogenee di studenti, ferma restando la possibilità di indicare il conseguimento della laurea come requisito necessario per l'ammissione al concorso.
Quello che si vuole imporre è comunque una differenziazione delle università, che dovrebbero essere valutate per le loro attività sulla base di criteri di cui nulla è dato sapere. Finora l’unica valutazione portata a compimento è stata quella della ricerca, VQR; e pare che il governo non abbia imparato nulla da questa esperienza sulla complessità della determinazione dei criteri e, soprattutto, la difficoltà o, meglio, l’impossibilità di stabilire “classifiche” di atenei piuttosto che valutazione del sistema (tralasciando “scivoloni” macroscopici come quelli delle classifiche Anvur prima presentate, poi ritirate, quindi riscritte e aggiustate e ciò nonostante ancora con profili di incoerenza e arbitrarietà),
In ogni caso non può essere solo la valutazione della ricerca il parametro necessario per la valutazione dell’istituzione, ma anche la qualità dell’offerta formativa e della didattica, valutazioni che ancora non ci sono, come viene attestato dalla distribuzione del FFO.
Questo induce un’aleatorietà al giudizio che annulla il valore individuale del singolo studente, che non sarebbe valutato per quello che sa, rilevabile non solo mediante il voto di laurea, ma da altri strumenti di cui ci si è dotati a seguito del processo di Bologna, quali il “Diploma supplement” (e il raggiungimento degli obiettivi formativi individuati nel sistema dei descrittori forse è in più, valutate) ma per l'istituzione dove ha conseguito il titolo. Chiaramente ciò comporterà una ulteriore penalizzazione degli atenei che oggi sono più in difficoltà e non in virtù della qualità della loro offerta formativa ma per ragioni squisitamente finanziarie.
Questo potrebbe portare ad effetti distorsivi nella programmazione e nell’erogazione dell’offerta didattica e comporterebbe un’ipotetica corsa alle iscrizioni negli atenei ritenuti di serie superiore, con conseguente necessità di aumento di “numeri programmati” e possibile aumento della tassazione studentesca, quindi una ulteriore torsione censitaria dell’accesso allo studio. Tutto ciò proprio mentre siamo agli ultimo posto per numero di laureati in Europa e continuiamo ad assistere ad un calo drammatico delle immatricolazioni anche a causa dei costi più alti della media europea dei nostri atenei.
Il quadro ideologico di un intervento come questo è chiaro: le politiche di austerità in Italia hanno come obiettivo la distruzione del sistema sociale e l’erosione del risparmio privato delle famiglie. Come sta avvenendo per l’assistenza medica e per quella pensionistica, anche le università diventerebbero terreno di caccia da parte delle assicurazioni private. Infatti, le famiglie per assicurare un futuro migliore ai loro figli utilizzerebbero i loro risparmi e/o farebbero ricorso ai prestiti d’onore (indebitandosi) per pagare le tasse universitarie crescenti negli atenei ritenuti (magari a torto) migliori e i costi di mantenimento agli studi dei propri figli. Uno scenario ampiamente già visto negli Stati Uniti, dove i prestiti universitari hanno creato una bolla finanziaria di oltre un miliardo di dollari e dove spesso il valore degli atenei è più certificato dai loro investimenti in marketing che dalla effettiva qualità della docenza o della preparazione dei loro studenti.
Peraltro, mettendo da parte i temi di natura più generale fin qui espressi, l’emendamento è vago e inconsistente, inapplicabile senza ulteriori norme, e illegittimo, quindi avrebbe ricadute drammatiche sulla modalità di assunzione e sulla stessa operatività delle amministrazioni pubbliche.
In primo luogo il testo si rinvia a generici “fattori inerenti all’istituzione che lo ha assegnato”. La natura di questi fattori, le modalità della loro verifica, la possibilità di comparare titoli ed istituzioni diverse, il soggetto deputato a svolgere questa analisi - che per sua natura non può essere demandata all’amministrazione che emette il bando - sono tutti elementi minimi che mostrano l’inconsistenza della proposta. Ci si illude, evidentemente, che l’ANVUR possa indicarci tali fattori “inerenti” dando a questa Agenzia, che non ha fino ad oggi brillato nelle sue analisi, anche l’ennesimo compito. Peraltro, l’inserimento di un elemento di questa natura riduce fortemente la valutazione delle specifiche competenze del candidato avendo potenziali ricadute di irragionevolezza anche rispetto alle necessità dell’amministrazione pubblica.
In secondo luogo si fa riferimento a “voto medio di classi omogenee di studenti”. Anche in questo caso la dicitura è inconsistente: quali sono le classi omogenee di studenti? Gli studenti laureatisi in uno stesso anno? Nella stessa classe di laurea? Qualsiasi lettore si renderà conto che quanto più la classe è omogenea, tanto più la norma è inutile.
Da queste banali e minime domande discendono alcuni “piccoli” problemi che mettono in evidenza l’ignoranza del proponente riguardo al sistema dell’istruzione superiore. Come comparare uno studente laureatosi in Giurisprudenza nel 2001 con 106 a Messina con uno laureatosi nel 2003 in Scienze Politiche alla SUN di Caserta con un voto di 110 e lode? Magari con uno laureatosi con 102 in Filosofia alla Statale di Milano o a Bologna? Ancora, il riferimento al voto medio è inconsistente. Il voto medio per ateneo in rapporto al corso di studio (come a dire il voto medio degli studenti di Scienze Politiche della SUN)? Il voto medio di tutti gli studenti in Scienze Politiche in Italia? Il voto medio di tutti i laureati di uno stesso ateneo? E poi, ogni quanto tempo andrebbero aggiornate queste ipotetiche classifiche. Ogni anno? Ogni due anni? Con quali costi?
Norme come questa rischiano di avere gravi effetti nei riguardi della qualità effettuata dagli atenei, rischiando di produrre non prevedibili effetti distorsivi del sistema formativo e della valutazione dei laureati. Ancora più preoccupanti saranno le gravissime ricadute sulle commissioni giudicanti nei concorsi pubblici che devono legare le proprie valutazioni a parametri apparentemente “neutri”, ma in realtà difficilmente quantificabili e con un conseguente aumento del contenzioso a fronte di elementi di valutazione opinabili se non illegittimi, in un quadro giuridico che non afferma semplicemente un generico valore legale del titolo di studio ma anche la sostanziale uguaglianza dei titoli di studio in una classe di laurea rilasciati dagli atenei italiani (la recente esperienza delle ASN non ha insegnato niente?).
E’ probabile che data l’inconsistenza della norma, quanto si propone finirà per essere l’ennesimo aborto normativo destinato a ampliare senza alcun benefico, ma solo con potenziali rischi, l’ipertrofia regolamentare italiana.
Per tutti questi motivi la FLC CGIL rigetta questo emendamento e ne contesta la filosofia di fondo che distruggerebbe il sistema universitario nazionale. Se questa è la buona università si confermano le nostre peggiori previsioniIl sistema universitario nazionale ha bisogno invece di nuove risorse finanziare, riattivando un regolare turn-over per docenti e personale tecnico amministrativo. Occorre riaprire la contrattazione sbloccando i contratti per i tecnici amministrativi e i lettori, riprendere la normale dinamica salariale per i docenti, affrontare il caos normativo nell'università andando verso il ruolo unico della docenza e affrontando in maniera seria e programmata il problema del precariato. Serve soprattutto mettere al centro del dibattito pubblico la funzione sociale dell'università piuttosto che continuare ad alimentare campagne denigratorie utili solo a preparare la prossima controriforma di un sistema già al collasso.