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FFO università: non ci sono risorse aggiuntive per l’attività degli atenei e non cambia un’impostazione sempre più competitiva!

Lo schema di DM che definisce per il 2020 il Fondo di Finanziamento Ordinario degli Atenei, nonostante la pandemia, non cambia passo e direzione.

15/09/2020
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Il fatto che il nostro Paese sia all’ultimo posto tra i 28 Paesi dell’UE per finanziamento dell’università e che l’emergenza Covid19 ha aggravato ulteriormente le tante criticità, avrebbe dovuto indurre MUR e governo, nel quadro del più grande intervento pubblico della storia (oltre 100 miliardi in pochi mesi), a prevedere uno stanziamento eccezionale per le università. Sarebbe stato inoltre utile sospendere le logiche premiali dell’ultimo decennio e dotare gli atenei di maggiori risorse straordinarie per garantire una riapertura in sicurezza e per ridurre il rischio di rinuncia agli studi, come nel 2009-2011 (eliminando, o tagliando sostanzialmente, tasse e contributi studenteschi). Non è stato così. Il fondo infatti è di 7,8 mld di euro, con un aumento nominale di 365 milioni di euro (+4,9%), dovuto per circa metà, 165 ml di euro, per un intervento  sulla no tax area, che oltre ad essere assai limitato rispetto alla necessità (165 ml di euro rappresentano  poco più del 10% dell’insieme delle tasse studentesche), per le casse degli atenei è di fatto rappresenta una partita di giro, e per l’altra metà dovuto essenzialmente per la copertura economica del passaggio da triennale a biennale degli scatti docenti (80 ml) e per l’assunzione di nuovi ricercatori (88,6 ml). Di fatto, non ci sono neanche le risorse straordinarie necessarie per gestire l’emergenza. Nel FFO continua poi a calare la quota base (4,2 mld, -1,8%) e a salire quella premiale (2,1 mld, +8,1%). Servirebbe invece cambiare passo e direzione: sia in termini di quantità, sia nelle politiche di gestione e distribuzione delle risorse.

Come tutte le estati, ad agosto è uscito il primo schema di decreto sul Fondo di Finanziamento Ordinario degli Atenei, congiuntamente ad un’integrazione straordinaria delle Linee generali di indirizzo per la programmazione delle università nel triennio 2019/2021 (di fatto, la possibilità di rimodulare le risorse stanziate, 65 milioni di euro, e l’annuncio della ridefinizione di nuove Linee generali per il triennio 2021-23, con un nuovo DM il prossimo gennaio 2021).

Questa però è un’estate segnata dall’emergenza pandemica. In particolare, dopo la lunga sospensione delle attività in presenza (di fatto, tutto il secondo semestre dell’anno accademico 2019/2020), gli Atenei devono organizzare la riapertura dei corsi in autunno.

Diversamente da una certa narrazione, nelle università italiane non è andato proprio tutto bene. Certo, grazie ad un impegno straordinario delle amministrazioni e soprattutto del personale (docente e tecnico e amministrativo), in poco tempo la grande maggioranza delle attività è stata trasferita on line, permettendo di non interrompere corsi, esami e lauree. Questi corsi, però, non hanno potuto adottare metodologie e supporti di una didattica a distanza universitaria che è stata rodata da decenni di esperienza (la prima esperienza internazionale, il Consorzio Uninettuno, è del 1991), con diversi atenei telematici oggi presenti nel Sistema universitario nazionale. Mentre, come mostrano numerose indagini (compreso la nostra), le attività di ricerca sono state fortemente colpite, con sospensioni e rallentamenti significativi in molti settori.

Il MUR ha anticipato una linea di gestione poi pienamente assunta dalla scuola: massima valorizzazione dell’autonomia degli istituti formativi (amplificando differenze e sperequazioni tra le diverse realtà) e minimo impegno sulle risorse (che avrebbero potuto cambiare non solo la gestione emergenziale, ma anche il logoramento strutturale in cui l’istruzione è giunta negli ultimi anni). Però, diversamente dal Ministero dell’Istruzione, il MUR ha scelto un profilo essenziale anche sulle politiche di indirizzo per l’emergenza: ha infatti assunto come suo interlocutore privilegiato (se non unico) la CRUI (un’associazione privata che non comprende nemmeno i Rettori di tutti gli Atenei italiani), sino ad assumerne formalmente i testi (sottoposti al CTS come proposte ufficiali del Ministero e riportati, con relativa carta intestata, a tutte le università con la circolare del 30.7.20), persino nella normativa (vedi l’allegato 18 riportato dall’art 1, comma 6, lettera s del DPCM del 7 agosto 2020). La logica competitiva della legge 240 (la cosiddetta Gelmini) è quindi non solo rimasta il punto di riferimento del Ministero (vedi il DL Rilancio), ma è stata approfondita proprio nell’emergenza dal comportamento degli Atenei, ognuno dei quali ha voluto mostrarsi competitivamente migliore degli altri [anche per conquistarsi studenti e future risorse]. Così, nel momento della massima emergenza (nei primi giorni di marzo, quando Bergamo is running), la CRUI ricordava che le Università sono aperte e molti Atenei puntavano a far funzionare a pieno regime laboratori e servizi (per metter in sicurezza personale, precari e studenti, in diverse realtà si dovette ricorrere alla minaccia di sciopero). Così, contrariamente ad altri settori (dalla scuola alle...spiagge), a maggio il MUR non ha voluto un protocollo nazionale per l’università, permettendo agli atenei di differenziare persino parametri essenziali come la distanza di sicurezza o il periodo di quarantena dei libri. Così, ad agosto, si è voluto ridurre la distanza di sicurezza all’essenziale (sotto il metro statico della scuola), in ragione di un incomprensibile riferimento (un po’ ridicolo) alle caratteristiche antropometriche e la dinamicità della postura degli studenti. Così, oggi, ogni Ateneo ha progettato una diversa riapertura (con diversi rapporti tra presenza e on line, privilegiando matricole o magistrali, con registrazione o meno), sulla base delle condizioni a disposizione (numero iscritti, aule, personale) e della possibilità di investire proprie risorse (apparecchiature per la registrazione, adeguamento delle aule, tutor e sdoppiamento dei corsi; alcuni persino offerte agli studenti: dalle SIM alle biciclette sino ai gadget). Quasi mai tenendo in conto delle indicazioni e delle norme previste per la didattica a distanza universitaria (troppo costose e impegnative), ma adattando come in primavera soluzioni spesso improvvisate ed emergenziali. Si racconta che tutto sta andando bene, per lucidare l’argenteria e non perdere studenti, ma la realtà in ogni Ateneo e a livello di sistema è sicuramente più complessa.

Così, si è scelto di confermare l’ordine di grandezza e l’impostazione del FFO, con un aumento limitato (destinato però solo limitatamente all’emergenza, in particolare sulla no tax area). Ci si è accontentati della norma (presente nell’allegato 2, lettera B, Quota di salvaguardia) che prevede che la variazione dello stanziamento per ogni singolo ateneo rispetto al 2019 possa esser solo positiva (tra lo 0 e il 3%): in pratica, nessuno subirà dei tagli nominali rispetto alle risorse dello scorso anno. E il Ministro ha assicurato, alla CRUI e in numerose interviste, che tale parametro sarà riproposto anche per gli anni a venire. Nel contempo, però, non c’è nessuna inversione di tendenza rispetto ai precedenti FFO, anzi si prosegue nell’accelerazione delle sue tendenze competitive.

Il FFO 2020 complessivamente si colloca intorno ai 7,8 miliardi di euro, aumentando di circa 365 milioni rispetto allo scorso anno (4,9%). Finalmente viene superato il suo massimo storico nominale, risalente al 2009 (ben 11 anni fa: 7,5 mld). È importante però tenere in considerazione l’inflazione del periodo (11,7% per l’indice CPI): le risorse reali sono ancora ben inferiori ad allora (per la parità d’acquisto, gli stanziamenti dovrebbero oggi superare gli 8,6 mld di euro). Senza contare che nel frattempo i tagli cumulati sul FFO equivalgono a oltre 5,5 miliardi di euro e che, in ogni caso, la strada per recuperare il divario rispetto ai sistemi universitari degli altri principali paesi europei è ancora lunga: c’era infatti un divario importante già prima della crisi che si è ulteriormente ampliato in questi 10 anni (come è puntualmente evidenziato ogni anno dal rapporto Education at Glance).

Cala la quota base di finanziamento, che arriva ad esser di 4,2 miliardi di euro. C’è un’ulteriore riduzione di circa 87 milioni di euro rispetto al 2019 (-1,8%), che segue quella di 127 milioni del 2019 e di 165 milioni dell’anno precedente (-2,9% e -4%). Anche se questa riduzione progressivamente rallenta, colpisce il suo andamento complessivo: oggi la quota base è il 54% del FFO, contro il 58% dell’anno precedente e il 72% di 5 anni fa! Cresce poi ancora, al suo interno, la quota ripartita secondo il criterio del cosiddetto “costo standard di formazione studente” (con parametri sbilanciati a favore dei grandi Atenei, in genere più forti e già premiati anche da altri indicatori), che supera oggi l’1,6 miliardi di euro (contro l’1,5 dello scorso anno, passando dal 35,7% al 40% della quota base: era il 20% nel 2014 e da allora è progressivamente aumentata). Mentre calano a meno di 2,5 miliardi i fondi basati sulla spesa storica (lo scorso anno erano 2,7; nel FFO 2014 erano circa 4 miliardi!).

Continua quindi a crescere la quota premiale, cioè la parte delle risorse distribuita secondo criteri e parametri di valutazione decisi centralmente. Nel 2020 supera i 2,1 miliardi di euro, crescendo rispetto al 2019 di quasi 160 milioni di euro (ben l’8,1% in più, nel 2019 era aumentata di circa 121 milioni di euro rispetto l’anno precedente). In questo quadro rimane stabile la quota perequativa (175 milioni di euro), come la sua distribuzione legata anche all'accelerazione dei singoli atenei verso indicatori di "qualità" (allegato 2). La percentuale delle risorse premiali diventa allora il 27,2% di tutto il FFO, contro il 26,3% dello scorso anno ed il 19,5% del 2014, al netto dei dipartimenti di eccellenza (sommando i quali si raggiunge il 30,7% delle risorse complessive, il suo massimo storico). Come gli scorsi anni questa premialità è distribuita utilizzando i risultati della Valutazione della qualità della ricerca (VQR 2011-2014), le politiche di reclutamento (VQR dei soggetti reclutati dalle Università), la cosiddetta “valorizzazione dell’autonomia responsabile” (su due parametri individuati dai singoli atenei in relazione a ricerca, didattica e internazionalizzazione), con gli stessi pesi dello scorso anno (rispettivamente 60%, 20% e 20%). Come sempre questa quota non è aggiuntiva, come tutti gli anni continuiamo a ripetere che dovrebbe essere, ma viene sottratta, “ritagliata” dalla stessa e sempre più corta coperta.

Diventa sempre più rilevante anche la quota dedicata agli interventi finalizzati (quasi 1,5 mld di euro), in cui ricadono quasi 160 milioni di aumenti rispetto allo scorso anno. che sono specificatamente dedicati a coprire, totalmente o parzialmente, iniziative previste da provvedimenti legislativi, temporalmente limitati e quindi non strutturali. Questa quota nel 2014 era di circa 605 milioni di euro: è passata progressivamente dal 8,6% del FFO al 18.8%! Questi fondi sono oggi dedicati in particolare alla notax area e ai dottorandi (285 milioni con l’aumento straordinario di 180 milioni previsto dal DL rilancio), ai Dipartimenti d’eccellenza (271 milioni di euro), alle borse post lauream e fondo giovani (235 mln), al piano straordinario per Professori associati (171 milioni), ecc.

Come si vede, quindi, escono intatte da questo schema di decreto tutte le tendenze che abbiamo visto dispiegarsi in questi anni: la contrazione delle risorse per l’autonoma gestione degli Atenei e l’imposizione di logiche sperequative per la distribuzione delle poche risorse disponibili (come abbiamo mostrato, a partire dai punti organico, nel documento Divergenze di sistema). La pandemia non sembra cioè esser stata occasione non solo di un intervento straordinario, ma neanche di un’attenuazione delle politiche competitive che hanno caratterizzato la Gelmini.

Non possiamo che ribadire la necessità di cambiare passo e direzione, come abbiamo puntualizzato nel documento Oltre l’emergenza, contro la crisi, rilanciare università e ricerca. Serve cioè difendere e rilanciare il sistema nazionale universitario, a partire da una ripresa sostanziale del finanziamento pubblico e da una sua diversa logica distributiva e serve al Paese anche un grande investimento sul diritto allo studio universitario. Su questo, la FLC CGIL continuerà la propria azione nel prossimo autunno in tutta la comunità universitaria (docenti, personale tecnico amministrativo, lavoratori e lavoratrici in appalto, precari e studenti), cercando di avviare una mobilitazione in grado di sospingere questa inversione nelle politiche universitarie. Ora, prima che sia troppo tardi.