Università, precarietà e diritto allo studio: l'Italia #noncambiaverso
Il governo prosegue l’opera di distruzione del sistema universitario avviata dal centrodestra.
Il governo ha rivendicato l'approvazione della legge di stabilità come l'avvio di una svolta e un cambio di passo. Gli interventi previsti dalla legge di stabilità, anche per quanto riguarda l’Università, non rappresentano, invece, alcun segno di novità.
Se il fondo di funzionamento ordinario è integrato per il prossimo anno con una cifra sufficiente a tamponare i tagli "Tremonti", e' però sancito un ciclo di progressive riduzioni del fondo di funzionamento degli atenei che giunge fino al 2022! Peraltro il recupero andrà a incrementare la quota premiale del FFO, contribuendo ad accentuare il divario tra atenei invece che intervenire a sostegno del sistema nel suo complesso. Complessivamente il Fondo di Finanziamento Ordinario ha subito un taglio, in 5 soli anni, per un miliardo di euro!
Vengono quindi confermati il blocco del rinnovo dei contratti per il personale tecnico e amministrativo e il blocco degli incrementi stipendiali per il personale docente. A fronte di una costante crescita dell'impegno lavorativo - anche in considerazione del progressivo ridursi di tutto il personale - non si affronta quella che e' ormai una vera e propria emergenza salariale nei nostri atenei, con ricadute percentualmente più pesanti sui redditi più bassi (i salari del personale TA degli atenei, insieme a quelli della scuola, sono tra i più bassi della pubblica amministrazione) e sui lavoratori più giovani, anche e forse soprattutto in termini previdenziali. A causa dei blocchi stipendiali un professore ordinario può perdere fino a 100,000 euro a fine carriera, un giovane ricercatore a tempo indeterminato reclutato nel 2008 fino a 60'000 e perdite altrettanto micidiali ci sono per il personale tecnico-amministrativo.
In sostanza, col pieno consenso della CRUI il recupero (parziale) dei tagli lo pagano i dipendenti col blocco delle retribuzioni.
Peraltro, i risparmi di spesa dovuti ai blocchi stipendiali di cui il sistema universitario nel suo complesso e i singoli atenei beneficeranno non vanno in alcun modo a favorire il reclutamento di più giovani e precari. Il reclutamento del personale tecnico amministrativo, data la penuria di risorse, è ridotto al minimo e si profilano spinte sempre più forti e feroci all’esternalizzazione dei servizi. Il personale tecnico-amministrativo è diminuito in pochi anni di oltre 6.000 unità, ed il calo non accenna a fermarsi e le poche assunzioni che vengono fatte riguardano spesso e sempre più personale a tempo determinato.
Sul versante del reclutamento dei docenti la legge di stabilità risponde al dato del fallimento della "tenure track all'italiana" con la cancellazione del vincolo che lega il reclutamento di professori di I fascia al numero di ricercatori a tempo determinato “di tipo B”.
Questo intervento risponde solo in minima parte alle esigenze degli atenei di programmare con maggiore efficacia il reclutamento di professori ordinari e alle aspettative dei tanti abilitati a professore ordinario. In assenza di risorse, gli interventi previsti permetteranno qualche passaggio in più ma al solo prezzo di azzerare definitivamente l'accesso dei giovani nelle posizioni più stabili "con tenure". Gli atenei sono infatti incentivati a reclutare ricercatori a tempo determinato con ampi obblighi didattici e senza alcuna garanzia di reclutamento. Viene sancita la definitiva precarizzazione della figura del ricercatore, trasformata in un docente universitario a termine. Per quale ragione, del resto, reclutare un professore universitario se si possono avere a contratto ricercatori triennali rinnovabili che possono avere gli stessi o anche superiori carichi didattici dei professori, con una retribuzione di molto inferiore, e che non si è tenuti a reclutare?
A dispetto di quanto si vuole far credere, questo intervento non permette alcun incremento nelle posizioni da ricercatore a tempo determinato: gli eventuali effetti del recupero dei punti organico sono dilazionati nel tempo e sono comunque vincolati alla disponibilità e alle esigenze degli atenei. Questa norma non offre alcuna opportunità né ai ricercatori di “tipo A” che termineranno i loro contratti nei prossimi anni - che non hanno garanzia di rinnovo o di reclutamento in una posizione stabile - né ai tantissimi assegnisti i cui contratti sono in scadenza e che non posso più essere rinnovati. Il progetto di riduzione del sistema universitario avviato nel 2008 dal governo di centrodestra è portato a compimento dal governo Renzi: il numero dei professori ordinari è ormai diminuito dal 2006 del 27% e quello dei professori associati del 16%, mentre si è messo ad esaurimento, scelta sbagliata e dannosa, il ruolo dei ricercatori a tempo indeterminato.
In questo quadro non vi sono neppure i segni dell'avvio del nuovo ciclo abilitativo e sorge il sospetto che si voglia "prendere tempo" per "smaltire" i già tantissimi abilitati interni, molti dei quali, stante la situazione finanziaria complessiva, non potranno comunque essere chiamati in tempi ragionevoli.
È ormai palese come il blocco del turn-over, la sostituzione del ricercatore a tempo determinato, il gioco dei punti organico, il sistema delle abilitazioni abbiano chiuso le porte ai più giovani e ai tanti precari. I pochi concorsi di questi mesi, resi possibili dal piano straordinario di reclutamento per professori di prima fascia, sono per lo più passaggi di status. Il numero dei concorsi da ricercatore di tipo A è basso, ed appare ancor più basso se si conteggiano le posizioni attivati su fondi interni. E’ invece ridicolo il numero dei ricercatori con tenure. Peraltro, le notizie di stampa sulle modalità di calcolo del costo standard per studente, penalizzando gli atenei con un numero maggiore di fuoricorso (quindi gli atenei con corsi di studio tradizionalmente più complessi e selettivi come, ad esempio, giurisprudenza, medicina, ingegneria) e facendo valere in maniera rigida il rapporto tra docenti/studenti (come se un docente non fosse anche un “ricercatore”), potrebbero avere come effetti in alcuni settori l’ulteriore riduzione delle esigenze di reclutamento.
La condizione studentesca non si discosta da queste criticità. Il numero di chi accede a un titolo di studio universitario, colloca l’Italia al 34° posto su 36 Paesi considerati. In termini assoluti, nella fascia di età 30-34 anni, solo il 19% possiede un diploma di laurea, contro una media europea del 30%.
Per spesa cumulativa per studente per tutto il corso degli studi, l’Italia è al 16° posto su 25 Paesi considerati. In particolare, già nel 2008, il costo totale per laureato, in Italia è inferiore del 31% rispetto a quello medio europeo. La spesa per il diritto allo studio ha subito un andamento contrario a ogni dichiarazione di principio: il fondo nazionale disponibile per finanziare le borse di studio tra gli anni 2009-2011 ha subito una riduzione che ha comportato una diminuzione degli studenti che hanno usufruito della borsa dall’ 84% al 75% degli aventi diritto. Gli immatricolati sono scesi da 338.482 (nel 2003-2004) a 280.144 (nel 2011-2012), con un calo di 58.000 studenti pari al 17% degli immatricolati del 2003. Il calo delle immatricolazioni è peraltro un fenomeno che riguarda tutto il territorio nazionale e, salvo limitate eccezioni, la gran parte degli Atenei. La risposta del governo, di concerto con le Regioni, è invece quella di inserire anche il fondo integrativo statale per il diritto allo studio entro i vincoli del patto di stabilità rendendo possibile l’utilizzo di risorse oggi finalizzate per fini diversi connessi ai piani di rientro dei bilanci! L’ennesimo attacco al diritto allo studio.
L'università è ormai un sistema chiuso, destinato al progressivo declino. A fronte di tutto questo, ll governo degli annunci non solo #noncambiaverso all'Italia ma contribuisce attivamente al suo declino. A dispetto della camicia bianca molto casual, questo governo non ha la volontà di individuare soluzioni strutturali per l'università italiana e che prendano finalmente atto del fallimento della 240. Non investe nel diritto allo studio e non investe nei giovani. Nei diversi documenti dell’intersindacale abbiamo fatto proposte alternative, lo stesso Consiglio Universitario Nazionale ha lanciato una serie di proposte operative.
Per tutti questi motivi è importante partecipare alla manifestazione nazionale unitaria dei lavoratori de servizi pubblici. Sabato 8 novembre tutti a Roma!