Cambiamo il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici

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Disegno di legge “Delega al Governo in materia di riforma del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni” approvato al Senato

Il ministro continua la sua campagna contro i dipendenti pubblici spacciandola per riforma.

14/01/2009
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La lettura del testo conferma il giudizio negativo già espresso dalla FLC Cgil.

Il Ministro spaccia per riforma del pubblico impiego una serie di norme che hanno l’unico scopo di evitare la contrattazione decentrata e limitare il ruolo del sindacato, bloccare le carriere, ridurre ulteriormente il potere d’acquisto dei pubblici dipendenti, umiliarli con il continuo richiamo a valutazioni, provvedimenti disciplinari, punizioni anche economiche.

Il Ministro non considera che i contratti già prevedono delle disposizioni che consentono di valutare i dipendenti, di distribuire in modo equo le risorse del salario accessorio, di formarli, di sottoporli a sanzioni in caso di inadempienze.

Le norme previste nel disegno di legge invece di portare allo snellimento delle procedure e ad una vera efficienza nel rispetto delle competenze e della dignità delle lavoratrici e dei lavoratori, avranno l’effetto di irrigidire i controlli e demotivare i dipendenti.

Fra le tante deleghe che il Ministro si è fatto dare non ci sono le uniche che potrebbero realmente servire a dare maggiore efficienza alla pubblica amministrazione: formazione ed auto formazione del personale, risorse alle istituzioni, risorse aggiuntive per incentivare i dipendenti

Il disegno di legge è una delega al Governo che dovrà essere attuata entro nove mesi tramite decreti legislativi.

Già il metodo della legge delega è criticabile poiché l’iter dei decreti legislativi sottrae i provvedimenti alla discussione parlamentare e all’accordo con le parti sociali.

Nel merito:

Articolo 1 (Delega al Governo in materia di riforma del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni)

Prevede modifiche al decreto legislativo 165/01.
È stata attenuata, rispetto alla prima stesura, la volontà di equiparare il lavoro pubblico con quello privato soprattutto per quanto riguarda le relazioni sindacali; ma è stata inserita la richiesta di prevedere procedure concorsuali territoriali per l’accesso al pubblico impiego e di prevedere già nel bando di concorso l’obbligo di residenza nel luogo di lavoro.
E’ evidente che questo genera una discriminazione poiché chi partecipa ad un concorso sceglierà la residenza dopo averlo vinto, non prima.

Il Governo si dà altri ventiquattro mesi per correggere o integrare i decreti legislativi emanati, il rischio è una storia infinita senza nessuna verifica con le parti sociali.

I dipendenti della Presidenza del Consiglio sono esclusi dall’applicazione della legge se incompatibile con il relativo ordinamento. Alla faccia delle lobbies!

Articolo 2 (Princìpi e criteri in materia di contrattazione collettiva e integrativa e funzionalità delle amministrazioni pubbliche)

E’ affidato al Governo, senza alcun criterio, il compito di definire quali le materie riservate alla legge e quali ai contratti la cui portata verrebbe comunque ridimensionata e limitata solo a quegli istituti "direttamente pertinenti al rapporto di lavoro".

I decreti legislativi dovranno infatti individuare le materie che rientrano nella competenza esclusiva dello Stato e fra queste rientrano anche le carriere del personale. E’ un doppio salto mortale all’indietro: si torna alla legge quadro del 1983 che non consentiva la contrattazione integrativa se non su pochissime materie e al blocco protratto negli anni, delle carriere del personale.

Sono fatti salvi “in ogni caso” da questa ordalia riformatrice il personale in regime di diritto pubblico fra cui i docenti universitari!

Ben tre punti prevedono controlli sui costi della contrattazione integrativa e fortissime limitazioni economiche.

Tramite decreto legislativo sarà modificata la durata dei contratti. Il decreto legislativo recepirà quindi un accordo di riforma della contrattazione su cui la Cgil si è espressa negativamente.

E’ prevista “l’imputabilità della spesa del personale rispetto ai servizi erogati....” cosa vuol dire? Sugli utenti graverà il costo del salario accessorio del personale?

E’ un’affermazione molto pericolosa che rischia di smantellare i servizi pubblici, basti pensare al costo del personale della sanità o della scuola.

E’ prevista la riforma dell’Aran con una chicca tipicamente brunettiana infatti si dovrà “rafforzare l’indipendenza dell’Agenzia dalle organizzazioni sindacali anche attraverso le revisioni dei requisiti soggettivi... con particolare riferimento ai periodi antecedenti e successivi allo svolgimento dell’incarico”.

Ossia i dipendenti dell’Aran non possono essere iscritti al sindacato né prima, né durante e nemmeno dopo la fine dell’incarico, né potranno eleggere le loro RSU. Un altro diritto costituzionale leso!

Articolo 3 (Princìpi e criteri in materia di valutazione delle strutture e del personale delle amministrazioni pubbliche e di azione collettiva. Disposizioni sul principio di trasparenza nelle amministrazioni pubbliche)

Valutazione delle strutture, di tutti i dipendenti, obblighi, produttività a confronto, e altro ancora!
Si devono assicurare elevati standard qualitativi ed economici, mezzi di tutela giurisdizionale per gli utenti contro le amministrazioni inadempienti; gli standard di qualità devono essere oggettivi e recepiti anche fra quelli internazionali. Anche le risorse saranno confrontabili con quelle internazionali?

E’ prevista nell’ambito della riforma dell’Aran la costituzione di un organismo centrale per la valutazione "autonoma ed indipendente", questo potrebbe rappresentare un punto positivo. Ma anche su questo tema si scoprono le sorprese. Per il suo funzionamento sono previsti infatti stanziamenti a regime per 4 milioni di euro per il 2009 e 8 milioni di euro a partire dal 2010 che saranno tolti dal fondo per la vice dirigenza dei Ministeri.

Dalla relazione tecnica acquisita in Parlamento risulta che i 5 componenti avranno una retribuzione di 300.000 euro annui. Ben oltre il tetto alle retribuzioni attualmente vigente nelle Pubbliche Amministrazioni.
A questa cifra si aggiunge circa 1.200 milioni di euro per consulenze e convenzioni e circa 1.300 milioni di euro per il funzionamento; inoltre i componenti possono continuare a svolgere il loro lavoro purché "non abbiano interessi in conflitto con le funzioni dell'organismo".

A fronte di valutazioni durissime del personale, di impoverimento degli stipendi, di riduzioni continue delle risorse per il salario accessorio, si prepara l'ennesima prebenda sganciata da qualsiasi valutazione e intervento sulla qualità.

In ultimo i pubblici dipendenti oltre a non aver diritto ad ammalarsi non hanno diritto ad essere tutelati dalla legge sulla privacy poiché il comma 8 prevede espressamente che lo svolgimento delle prestazioni e la relativa valutazione non sono protette dalla riservatezza personale.

Articolo 4 (Princìpi e criteri finalizzati a favorire il merito e la premialità)

Il Governo ha la delega per introdurre strumenti di valorizzazione del merito e di incentivazione della produttività anche mediante “il principio di selettività e di concorsualità nelle progressioni di carriera e nel riconoscimento degli incentivi” e quindi: risorse solo ai singoli meritevoli; valutazione positiva che diventerà titolo per la carriera, anche per le progressioni economiche; parte delle economiche conseguite con i risparmi sui costi di funzionamento erogato solo al personale direttamente coinvolto.

Il Governo toglie la possibilità di contrattare l’ordinamento del personale visto che la delega prevede che le progressioni di carriera avvengano per concorso pubblico con riserva di posti per gli interni non superiore al 50%, e la riserva di accesso dall’esterno nelle posizioni economiche apicali, ma in questo ultimo caso si potrà procedere anche con un corso-concorso che sarà bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione.

Chi ha vissuto il lungo periodo delle qualifiche funzionali sa che la carriera veniva bloccata per 10-15 anni ed era necessaria un’altra legge per ottenere un cambiamento. La riforma degli ordinamenti nel bene e nel male hanno consentito un’accelerazione delle progressioni sia economiche che verticali.

Articolo 5 (Princìpi e criteri in materia di dirigenza pubblica. Modifica all’articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133).

Si propone di modificare la disciplina della Dirigenza pubblica anche utilizzando criteri di gestione e valutazione della dirigenza privata, riconoscendo meriti e demeriti anche rivedendo l’applicazione delle norme in materia di indirizzo politico-amministrativo relativo all’assegnazione degli incarichi dirigenziali.

Per raggiungere i suddetti obiettivi la delega al Governo seguirà una lunga sequela di principi e criteri: piena autonomia di responsabilità dirigenziale che prevede fra le altre cose anche la valutazione del personale e il riconoscimento degli incentivi alla produttività; la responsabilità per l’omessa vigilanza sulla produttività dei dipendenti con relativa non corresponsione del trattamento accessorio; il non pagamento dell’accessorio per non aver avviato provvedimenti disciplinari nei confronti dei dipendenti che se lo meriterebbero; la non conferma dell’incarico per chi non raggiunge gli obiettivi; premiare un numero limitato di dirigenti; istituire delle incompatibilità dei dirigenti e rafforzare l’autonomia dai sindacati e dalla politica; stabilire che la retribuzione legata al risultato sia almeno il 30% dello stipendio complessivo. E altro ancora.

Provvedimento finale del presente articolo 5: l’esclusione dal pensionamento coatto per chi ha maturato 40 anni di contributi previsto dal comma 11 dell’articolo 72 della legge 133/2008 anche dei primari ospedalieri, tanto per non fare torto ad una parte di potenti rimasti inopinatamente esclusi dalle splendide eccezioni fatte per docenti universitari e magistrati.

E’ evidente “la filosofia” che ispira il provvedimento: costringere, spaventare, punire, premiare (anche perché i Dirigenti pubblici, in quanto pubblici, sono anch’essi neghittosi, fannulloni e mangiapane a tradimento). Come se già oggi non fosse possibile raggiungere i risultati purché lo si voglia, applicando leggi e contratti, con un sistema di valutazione effettivamente operante.

Lo stesso sistema di valutazione nella proposta è adottato dall’Amministrazione e non è più definito dai Contratti, salvo non fidarsi di se stessi laddove si dice che non verrà corrisposta la retribuzione di risultato se l’Amministrazione non ha proposto un sistema di valutazione. Francamente curioso (e preoccupante dal punto di vista delle libertà fondamentali) il proposito di rafforzamento dell’autonomia dei Dirigenti dall’autorità politica e dal sindacato. Chissà se la Costituzione è ancora negli orizzonti del proponente!

Articolo 6 (Princìpi e criteri in materia di sanzioni disciplinari e responsabilità dei dipendenti pubblici).

La delega dovrà modificare le sanzioni disciplinari e le responsabilità ed individuare le disposizioni inderogabili da inserire di diritto nel contratto nazionale.

I principi a cui si dovrà attenere la delega hanno come presupposto la certezza del ministro che tutti i pubblici dipendenti sono fannulloni, compresi i dirigenti che non procedono o fanno colpevolmente decadere l’azione disciplinare, e i medici che emettono certificati falsi e per cui il ministro prevede il licenziamento.

In realtà questo articolo è molto pericoloso perché è demandato al Governo, senza alcun criterio e tutela, l’individuazione delle infrazioni e la loro gravità.

La delega spazia dalla previsione dell’obbligo di risarcimento del danno erariale al licenziamento per grave danno arrecato a causa di inefficienza o incompetenza, e prevede l’abolizione dei collegi arbitrali di disciplina, voluti dai legislatori per tutelare i dipendenti.

Articolo 7 (Norma interpretativa in materia di vicedirigenza).

Nel 2002 il Governo Berlusconi introdusse l’area della vice dirigenza promettendo di inseririvi, in prima applicazione, anche i non laureati. Ora questa fantomatica promessa è scaricata sui comprati contrattuali infatti: “può essere istituita e disciplinata esclusivamente ad opera e nell’ambito della contrattazione collettiva nazionale del comparto di riferimento” ovviamente senza risorse, tanto più che le risorse destinate sono utilizzate per pagare i lauti compensi dell’organismo nazionale per la valutazione.
E’ curioso che in una legge delega che toglie spazi alla contrattazione lasci proprio una materia così delicata alla scelta contrattuale.

Articolo 9 (Corte dei conti)

In questo articolo non c’è nessuna delega ma si procede direttamente ad una riforma che stravolge pesantemente il ruolo della Corte dei Conti e nei mina l’autonomia.

Eclatante e gravissimo è il fatto che di fronte ad un controllo ‘non gradito’, il ministro, così come recita il testo, ‘possa presentare ricorso alla Corte contro una pronuncia di controllo’”. Il testo governativo dà per scontato che il Parlamento, in sostanza l’opposizione, non può o non deve sindacare l’operato del Governo e, su questo presupposto, attribuisce allo stesso Governo il potere di chiedere alla Corte dei Conti di revisionare le censure che all’amministrazione sono state mosse da un precedente collegio della stessa Corte”.
Tutto questo viola la norma costituzionale (art. 100, comma 2) per cui la Corte è organo ausiliario del Parlamento, davanti al quale, perciò, il Governo è tenuto a fornire le proprie giustificazioni sulle censure formulate dalla Corte in ordine alle amministrazioni che dipendono dallo stesso Governo.

Roma, 14 gennaio 2009