Stabilizzare tutti. I precari degli enti di ricerca rilanciano la mobilitazione
Riforma della pubblica amministrazione e Jobs Act, le prossime scadenze. Il resoconto dell'assemblea del 13 febbraio all'ISTAT.
Il 13 febbraio 2015 si è svolta all'ISTAT l'assemblea dei lavoratori precari degli enti di ricerca, nel segno di una ampia partecipazione. Interventi dall'Istat, dall'Iss, dall'Ingv, dal Cnr, dall'Inail, dall'Invalsi, dall'Isfol, dall'Inaf, dall'Inea.
Il video dell'assemblea
Queste le istanze principali emerse dal dibattito organizzato dalla FLC CGIL nel quale si sono confrontati precari, sindacalisti e parlamentari invitati all'evento.
Serve un sistema normativo specifico per gli enti di ricerca, finanziamenti adeguati, una riforma del reclutamento e nuovi ingressi di giovani dato il numero risibile di ricercatori per abitante in Italia. Soprattutto, prima di ogni altra misura pur necessaria, a fronte di oltre 13.000 precari e 18.000 dipendenti stabili, serve subito un percorso straordinario di stabilizzazione che si rivolga a tutti: assegnisti di ricerca, tempi determinati, cococo e borsisti. Non devono esserci trattamenti diversi per queste tipologie contrattuali: quello che conta è la storia professionale di ciascuno.
La sentenza della Corte di giustizia europea dello scorso novembre (che ha dichiarato illegittimo il reitero dei contratti a tempo determinato per oltre 36 mesi nella scuola e che può ragionevolmente avere un impatto anche sul comparto ricerca) rappresenta una delle leve, evidentemente non l'unica, per imporre all'ordine del giorno dell'azione politica un intervento urgente di stabilizzazione delle migliaia precari che con varie forme contrattuali da anni portano avanti il lavoro di ricerca. È conclamato infatti che il lavoro dei ricercatori e dei tecnici precari assolve a funzioni stabili dentro gli enti, lo confermano le proroghe di questi anni e la lunga anzianità di servizio presso lo stesso ente di assegnisti di ricerca e co.co.co..
In prospettiva è necessario arrivare ad un modello fondato sulla programmazione e il reclutamento ciclico: un modello dove esista una sola forma di reclutamento e non 4 o 5 diverse.
Nei prossimi mesi saranno in discussione due provvedimenti legislativi che riguardano i precari della ricerca: uno dei decreti attuativi del Jobs Act e la riforma della Pubblica Amministrazione, a questo si aggiunge l’annunciata riforma degli Epr. Si tratta dunque di aprire le contraddizioni nell'azione di Governo e far valere il peso della sentenza della Corte di Giustizia europea. Dentro questa cornice la FLC promuove un’iniziativa di mobilitazione ampia.
Molti i contributi portati al dibattito nell'assemblea.
Francesco Americo (avvocato della FLC CGIL) ha ripercorso i passaggi della battaglia legale condotta nelle scuole, che dura da molti anni. Finora ci sono state nei tribunali italiani solo sentenze di risarcimento del danno. La Cassazione ha riconosciuto la peculiarità della scuola e ormai decretato il riconoscimento dell’anzianità prestata a tempo determinato.
Nell’ordinamento scolastico c’è stato un abuso: il sistema delle graduatorie ha consentito di tenere precari per tanti anni a fare lo stesso lavoro.
L'accordo quadro tra CES e organizzazioni datoriali europee, da cui hanno avuto origine la direttive europea sui contratti a termine e poi le normative nazionali, stabilisce che per prevenire gli abusi devono essere controllate le motivazioni e posti dei limiti, misure che invece non sono mai state previste nella scuola, in cui i contratti precari sono stati reiterati.
Il limite individuato con il decreto 368 del 2001, che indica 36 mesi, non è mai stato applicato nella scuola, così come altri decreti governativi hanno sempre escluso la scuola.
Tutti questi elementi sono stati portati davanti alla Corte di giustizia europea.
Il fatto che lo Stato italiano non avesse bandito concorsi per 13 anni dimostrava che il lavoro temporaneo non era utilizzato solo per l’emergenza. La lunga durata dei contratti evidenzia che il datore di lavoro (lo Stato) ha soddisfatto esigenze durature e non temporanee.
La recente Sentenza del tribunale di Napoli che ha stabilizzato un lavoratore precario è un primo segnale, ma in molte cause i giudici stanno riconoscendo invece “solo” il danno economico.
Pagare il danno economico per tutti i precari sarebbe comunque troppo oneroso per lo Stato italiano e se la logica avesse cittadinanza in politica le stabilizzazioni sarebbero ritenute comunque più convenienti.
Per quanto riguarda la ricerca, il limite temporale è stato portato dal Contratto nazionale a 5 anni, per il resto ci troviamo in una situazione simile, sebbene non del tutto assimilabile, a quella della scuola.
Michele Gentile (CGIL) ha tracciato un quadro più generale del lavoro pubblico, anche evidenziando le peculiarità del mondo della ricerca.
La ricerca ha due elementi di diversità: il contratto collettivo nazionale che permette contratti a termine più lunghi e la previsione per via negoziale di una modalità - previa modalità selettiva - di stabilizzazione (si tratta dell’articolo 5 comma 2 del CCNL, la norma più boicottata nella storia del contratto della Ricerca).
Il tema che abbiamo di fronte è che non può esistere un contratto precario per un lavoro stabile.
Oggi sono in discussione due provvedimenti legislativi che riguardano questo aspetto: uno dei decreti attuativi del Jobs Act e la riforma Madia della Pubblica Amministrazione.
Dal 2010 siamo in un periodo di blocco del turnover, che sta facendo diventare il lavoro precario una regola permanente. Va posto il problema del superamento strutturale del lavoro precario a partire dal reclutamento, dato che ad oggi il lavoro precario è di fatto sostitutivo di lavoro stabile.
Esclusa la scuola, si contano circa 70mila precari su 2 milioni 800mila dipendenti pubblici.
Un problema supplementare è che per i contratti precari diversi dal tempo determinato non ci sono leggi quadro come il Dlgs 368. Occorre quindi ragionare su come superare questa situazione.
Il Governo sostiene di volere eliminare le collaborazioni coordinate e continuative: la CGIL è d'accordo e chiede che tale provvedimento riguardi anche la Pubblica Amministrazione. Ovviamente eliminare le collaborazioni coordinate e continuative non deve significare eliminare i lavoratori che ad oggi sono inquadrati con i co.co.co. Ad esempio l’Inail ha 489 collaborazioni improprie ereditate dall’ex ISPESL e che rientrano nel contratto della ricerca. Abbiamo provato a proporre un emendamento “sindacale” che permette la trasformazione da co.co.co. a tempo determinato. E’ stato dichiarato inammissibile perché non inerente al tema, ma abbiamo chiesto un parere ufficiale al governo e ancora non abbiamo una risposta.
Nella riforma Madia può e deve entrare il tema della riforma del reclutamento: spostare il problema in avanti nel tempo (ad esempio con le proroghe al 2018) è frutto di miopia e non mette al riparo dalla prosecuzione del blocco delle assunzioni. Questo continuo rinvio nel tempo sta portando all’invecchiamento dei dipendenti pubblici, che favorisce anche le esternalizzazioni. Per ora nella riforma Madia si parla solo della centralizzazione dei concorsi: una idea che fa parte di una stagione finita.
Questo è il tema del presente, anche grazie alle recenti sentenze che pur parlando solo della scuola hanno implicazioni oggettive più ampie.
Sul tema della precarietà e quindi della qualità del lavoro dentro la Pubblica Amministrazione abbiamo necessità che ci sia un punto di mobilitazione e di consapevolezza generale.
Dopo l'intervento di Michele Gentile hanno preso la parola Alessia Sabbatini (precaria Istat), Ilaria Schiavone (precaria Iss), Lauro Chiaraluce (precario Ingv), Rosa Ruscitti (coordinatrice FLC CGIL Cnr), Giovanna Cangiano (precaria Inail - ex Ispesl), Nicoletta Di Bello (precaria Invalsi), Sergio Ferri (precario Isfol), Giuliana Fiorentino (precaria Inaf), Fabrizio Stocchi (coordinatore FLC CGIL Istat), Tatiana Piccoli (precaria Inea), Eloise Longo (precaria Iss), Valeria Pangrazi (precaria Istat), Roberta Varriale (precaria Istat), Annabella Pugliese (precaria Istat).
Tali interventi hanno reso evidente che l’abuso del contratto precario per il lavoro ordinario nella ricerca è cosa nota ed è storia degli ultimi 20 anni. Sono stati, inoltre, raccontati i percorsi di lotta degli ultimi anni nei diversi enti, che hanno spesso incrociato la battaglia per il posto di lavoro con quella per l’autonomia della ricerca pubblica. Al blocco delle assunzioni si è infatti accompagnato il commissariamento di molti enti, l’accorpamento e la soppressione di altri.
In vari enti la situazione di precariato perdura da molti anni, dall’inizio degli anni 2000, da quando vige un sostanziale blocco delle assunzioni. La stabilizzazione del 2007 ha risolto solo parzialmente il problema. Sono rimasti fuori tutti quelli che non avevano i requisiti pur essendo presenti negli enti da anni (perché non avevano un contratto a termine). Il successivo blocco del turnover ha quindi posto le basi per riportare, oggi, l'entità del precariato allo stesso livello del 2007, se non più alto. In alcuni enti sono stati intrapresi anche percorsi giudiziari, che stanno per arrivare a una sentenza.
La soluzione non può venire dai concorsi, che molti precari hanno fatto più volte e che vedono come un’inutile persecuzione. Gli enti sono pieni di graduatorie che non vengono usate.
Il decreto D’Alia è insufficiente perché ricomprende solo una parte della platea degli attuali precari, e perché non sblocca il turnover né modifica le dotazioni organiche. Serve un vero provvedimento straordinario di stabilizzazione e l’applicazione dell’articolo 5 comma 2. Ma stavolta, a differenza del 2007, vanno considerate tutte le figure contrattuali: co.co.co. e assegnisti di ricerca sono centinaia in vari enti, basti pensare che solo al CNR ci sono 3mila assegnisti di ricerca. Il sindacato negli ultimi anni ha cercato di portare a proroghe lunghe, e a convertire le forme diverse dal tempo determinato in contratti a termine.
Il Senatore Fabrizio Bocchino (ricercatore Inaf) ha sottolineato che siamo di fronte non solo a un’emergenza sociale, ma anche a un’emergenza culturale. Le persone che lavorano nella ricerca sono state tradite. Stiamo depauperando la società. Non esistono soluzioni semplici. Serve una stabilizzazione, ma contemporaneamente vanno cambiate tante cose sia nell’ordinamento degli enti di ricerca sia nel reclutamento, ma bisogna anche fare molto sulla semplificazione. La stabilizzazione di Renzi nella scuola è una farsa.
Secondo il Senatore Walter Tocci il vero pericolo è quello di accettare l’attuale situazione come data, visto che dura da così tanti anni. Al contrario bisogna denunciare il colossale falso in atto pubblico che porta gli enti a utilizzare precari per lavoro stabile e occorre ricostruire una normalità nella vita degli enti.
Non serve tanto scrivere altre leggi quanto fare azioni di controllo e togliere vincoli normativi. Bisogna cogliere l’occasione del disegno di legge Madia.
Il Senatore si è impegnato a proporre di togliere il vincolo delle piante organiche, così come quello che non consente di assumere a tempo indeterminato da progetti esterni: una grande limitazione che blocca tutti, basata su un’altra falsità. Se un ente di ricerca ha stabilmente entrate “esterne”, può considerarle, almeno in parte, come stabili. Ad esempio al CNR più della metà del budget viene dall'esterno. Altro obiettivo è quello di ottenere una specificità per gli enti di ricerca, che sono diversi dall’apparato ministeriale.
Nei decreti attuativi del Jobs Act si dovrebbero cancellare, per i settori privati, alcune delle forme di lavoro più precarie. Nel settore pubblico bisogna costringere il sistema ad andare almeno verso il contratto a tempo determinato.
La Tenure track già esisterebbe nella ricerca con l’articolo 5 comma 2 del CCNL: bisogna che Governo e Funzione Pubblica rimuovano i blocchi che hanno posto negli ultimi anni all’applicazione di quella norma contrattuale.
Francesco Sinopoli (segretario nazionale FLC CGIL) ha esordito chiarendo che sono più di 10 anni che raccontiamo le sciagure dei lavoratori degli enti di ricerca e da tempo non ha più utilità limitarsi alla rappresentazione. Gli interventi svolti nel corso della giornata, infatti, non rappresentano condizioni individuali, ma mobilitazioni collettive. In questi ultimi anni è stato necessario per ovvie ragioni giocare in difesa puntando attraverso le lotte e la contrattazione a difendere i livelli occupazionali.
Lo Stato dall'inizio degli anni '90 ha giocato più degli altri (del settore privato) sul dumping salariale. La cornice attuale non è certo facile. Oggi, nel momento di massimo attacco, siamo anche in crisi economica. Come si conciliano iniziative mobilitazione con questo contesto?
La commissione Cultura del Senato, con la risoluzione sugli enti di ricerca approvata lo scorso novembre ha inquadrato bene il problema e accennato ad alcuni provvedimenti necessari, tra cui il fatto che la ricerca ha bisogno di una normativa speciale che la distingua dalla Pubblica Amministrazione.
La FLC pensa che il primo tema sia stabilizzare il lavoro precario. Tutto il lavoro precario, a prescindere dalla tipologia contrattuale.
Nel 2007 è stata lanciata una vertenza anche in sede giudiziaria per allargare la stabilizzazione a tutti i lavoratori precari e quindi non solo ai lavoratori a tempo determinato, ma la vertenza è stata persa. Il contesto politico è poi mutato con l'attacco alle stesse stabilizzazioni e un inasprimento dei blocchi del turn over. Ci sono persone rimaste imprigionate nell'assegno di ricerca per lungo tempo che hanno pieno diritto alla stabilizzazione. Si tratta, in via generale, di stabilizzare i tanti precari che sono, di fatto, soggetti ad un abuso contrattuale, lavoratori che in questi anni hanno servito lo Stato e gli enti, compromettendo in alcuni casi il proprio curriculum. Il fatto che i precari siano vittima di abuso è acclarato. Le amministrazioni stesse hanno certificato che servono per attività ordinarie firmando con il sindacato gli accordi per le proroghe dei tempo determinato.
Su questo occorre rilanciare una mobilitazione anche a partire dalla sentenza della Corte di giustizia europea che non è la panacea, ma una leva significativa.
È un fatto che il risarcimento del danno per tutti gli abusi sarebbe insostenibile per le casse dello Stato. Un fatto giuridico che può essere alla base di una mobilitazione che chieda la stabilizzazione per tutti i precari che attualmente lavorano nella ricerca e anche un nuovo reclutamento per i giovani. Perché è ridicolo il numero di addetti del sistema della ricerca pubblica in Italia. Continuando così i livelli di produttività scientifica che pure in questi anni sono rimasti a un grado soddisfacente andranno incontro nei prossimi anni a un sicuro declino.
Stabilizzare i precari e reclutare nuovi ricercatori dovrebbe essere il progetto del paese, figuriamoci se non deve essere quello dei precari della ricerca!
Il 18 febbraio la CGIL nazionale deciderà una serie di iniziative per difendere la centralità e la dignità del lavoro. In questo percorso, come FLC CGIL, vogliamo inserire una mobilitazione per la stabilizzazione dei precari nella ricerca.
Occorre eliminare i vincoli per le assunzioni sul finanziamento esterno e sbloccare il turnover, ma è necessaria anche una norma speciale di stabilizzazione, cosa peraltro possibile proprio in virtù dall’articolo 97 della Costituzione.
È necessario utilizzare le contraddizioni che si apriranno inevitabilmente in questa fase politica. Renzi annuncia l'anno della ricerca? Approfittiamone! Trasformiamolo noi nell'anno della ricerca.
Il sindacato, la Cgil, sono strumenti di organizzazione nelle mani dei lavoratori. In questi anni abbiamo sostenuto mobilitazioni e iniziative di autorganizzazione da cui peraltro vengono molti dei nostri attivisti di oggi. Siamo i primi ad essere convinti che senza un fronte ampio e partecipato non arriveranno risultati. Rilanciamo quindi la proposta per una vasta mobilitazione a tutte le reti di precari, a tutte le organizzazioni sindacali, ai movimenti autorganizzati, che vada fuori dagli enti e si rivolga al Parlamento.
Diamoci un calendario tutti insieme: Noi ci siamo!