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I contributi al manifesto “Per la promozione e la diffusione dell’apprendimento della lingua e della cultura italiana nel mondo”

Gli interventi di Fulvio Fammoni, Luigi Berlinguer, Monica Barni, Domenico Pantaleo e Gianna Fracassi.

20/10/2014
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Arte, cultura e lingua italiana nel mondo. Un nuovo progetto politico.
Di Fulvio Fammoni - Presidente della Fondazione Di Vittorio

L’esigenza di una svolta profonda nelle politiche per la diffusione della lingua, arte e cultura italiana nel mondo, è urgente. L'insegnamento della lingua italiana all'estero va potenziato come “servizio” ai nostri connazionali, ai loro figli e alla vasta platea di oriundi nel mondo (oltre 60 milioni), riuscendo a conquistare, nei diversi contesti nazionali, curricoli in cui sia possibile apprendere la lingua locale e, insieme, la lingua italiana. Deve inoltre costituire una opportunità concreta per quei cittadini immigrati che intendano realizzare le proprie aspirazioni nel nostro Paese. Ma l’aggravarsi del perdurare della crisi impone anche di fare appello a tutte le risorse disponibili per evitare un avvitamento senza fine e riaprire margini alla necessaria ripresa. In questo ambito il patrimonio artistico culturale e tutta la pregiata produzione del made in Italy, possono trovare nella diffusione della lingua italiana nel mondo, il vettore giusto per mettere in movimento questo processo virtuoso. Le recenti polemiche sui tagli alla spesa, sui ricorrenti tentativi e decisioni di chiudere alcuni istituti italiani di cultura all’estero, i problemi di gestione del personale delle scuole italiane all’estero, sono invece solo gli ultimi segnali, in ordine di tempo, di una evidente insostenibilità dell’attuale quadro politico- normativo di riferimento e della frammentazione e dispersività degli interventi. Anche da queste esigenze nasce la proposta della CGIL, della Fondazione Di Vittorio, FLC CGIL, Inca, SPI-CGIL e Associazione Proteo-Fare-Sapere, per una svolta profonda nella politica culturale per la promozione e la diffusione della lingua italiana nel mondo. Garantire un diritto alle persone, a cominciare dai nostri connazionali all’estero, e assieme sviluppare una grande opportunità per il futuro del paese rappresentano i presupposti di questa iniziativa In realtà questa esigenza era apparsa già molto chiaramente nel rapporto “Italiano 2000”, una indagine promossa dal MAE con la collaborazione dei migliori esperti in materia. Nella prefazione a quel rapporto, Tullio De Mauro evidenziava alcuni punti di analisi che ancora oggi vanno tenuti in considerazione: la mondializzazione, con il suo carico di anglicizzazione inarrestabile ma anche con la riscoperta delle lingue locali; l’effetto del turismo di massa sulla attrazione della lingua italiana, il contrasto tra una sorprendete diffusione della nostra lingua e l’emergere inquietante di fenomeni di analfabetismo diffuso; il nuovo rapporto tra competenza linguistica ed evoluzione del sistema industriale del Paese. Pur nel quadro di una crisi economica e finanziaria molto acuta che ha colpito redditi e consumi, il volto produttivo del Paese, non è rimasto fermo. Accanto infatti al permanere, nelle tante reti locali, di forme di artigianato e di impresa familiare fortemente legate alle tradizioni locali al punto quasi da apparire anacronistiche, l’incontro con l’informatizzazione e le nuove tecnologie, ha determinato una singolare dimensione produttiva del tessuto locale in cui convivono la personalizzazione e la cura del prodotto artigianale, con la capacità di trasformarlo in un vero e proprio prodotto industriale. Parliamo insomma di quel “made in Italy” di grande prestigio che primeggia nel settore del mobile, dell’abbigliamento e calzature, del design e della moda, della meccanica di precisione, della ristorazione e dei prodotti alimentari; tutte linee produttive in cui il prodotto e la lingua italiana che lo caratterizzano, costituiscono un insieme inseparabile ed inimitabile. La lingua, in questo caso, non è solo descrittiva del prodotto ma è anche una sorta di certificazione semantica della storia e delle culture del territorio in cui ha preso forma. Ed è in questo incrocio che la tradizione classica, umanistica, della nostra lingua e del suo universo di riferimento, trova il connubio con la modernità e l’informatizzazione.

Non è difficile cogliere lo scarto tra potenzialità immense di valorizzazione di questo patrimonio e politiche troppo settorializzate ed incapaci di cogliere le nuove grandi opportunità. Un rilancio, una nuova politica per la diffusione della lingua italiana nel mondo deve essere parte significativa di una politica per il rilancio della crescita e dell’economia del nostro Paese. Sarà proprio la Prof.ssa Monica Barni, oggi Rettrice dell’università per Stranieri di Siena, a mettere in evidenza (cfr. “Italiano L2 in classe” n°2-3 del 2010, Le Monnier) come sempre più i fattori extralinguistici saranno determinanti per determinare la variabilità della diffusione o meno della lingua italiana. Insomma la politica torna centrale anche in questa delicata questione. Occorre in realtà un progetto politico “di diffusione linguistica realmente mirato alla diffusione del plurilinguismo e non arroccato nella difesa del monolinguismo nazionale,avendo anche come riferimento le comunità di origine italiana sparse nel mondo”. Credo che si possa infine aggiungere un’ulteriore considerazione. Ciò che è entrato in crisi in Europa non è soltanto la natura delle scelte di politica economica che si sono dimostrate incapaci di fronteggiare la crisi e di salvaguardare livelli accettabili di occupazione, di reddito e di eguaglianza sociale. Insieme a quelle politiche è entrato in crisi anche l’apparato culturale ed ideale che ne ha costituito la ossatura. La lingua italiana, per la sua forte connotazione umanistica, torna ad acquisire una crescente attrattività anche in conseguenza di questa sua caratteristica di linguaggio che pone al centro la persona e non l’economia. In sostanza è una lingua che manifesta il bisogno di un cambiamento di paradigma dello sviluppo della società. Ma questa dimensione della attrattività della lingua italiana rischia di essere un fenomeno contingente se la proposta politica, non si dimostrerà capace di innervare si di essa una significativa elaborazione capace di dare corpo e prospettiva al cambiamento atteso.

L’offerta formativa e le sue ramificazioni

La rete dei soggetti impegnati nella promozione e diffusione della lingua italiana all’estero è, secondo i dati del MAE relativi al 2014, così articolata: istituti di cultura italiana; istituzioni scolastiche all’estero; enti gestori; lettori di ruolo e lettori contratto locale; sedi della Società Dante Alighieri, con la quale è vigente una convenzione con il MAE. Tale rete copre 250 città nel mondo. Gli istituti italiani di cultura rappresentano, sempre secondo il MAE, la parte più virtuosa della rete ed anche il vero elemento di forza del sistema. La rete appare fortemente centrata sulla dimensione europea e sulla domanda di lingua italiana in America Latina, Asia e Golfo Persico. Si pone dunque un problema di riallineamento e ridislocazione, sia pure in un quadro fortemente condizionato dai tagli della spending review che ha imposto una drastica riduzione delle risorse. La rete pubblica resta fondamentale e su questa occorre investire e riqualificare. Accanto a questa rete istituzionale, occorre considerare il ruolo svolto da imprese che molto spesso autorganizzano corsi di lingua italiana per i propri dipendenti. Così come risulta sempre più rilevante il ruolo dei centri di educazione per gli adulti, le numerose associazioni di volontariato, la rete dell’associazionismo degli emigrati , le congregazioni religiose. Tutti soggetti che spesso operano fuori da un quadro di collegamento e collaborazione con la rete istituzionale e con il MAE, determinando dispersione di risorse e di potenziale crescita dell’offerta formativa. In particolare appare fortemente sottovalutato il ruolo che potrebbero svolgere quelle associazioni di emigrati italiani di prima generazione che ora si trovano con figli nati all’estero ma rispetto ai quali i genitori vorrebbero coltivare l’apprendimento della lingua italiana, in un’ottica dell’italiano come lingua 2, per nulla alternativa, anzi, con l’apprendimento della lingua straniera locale. Una nuova proposta politica, capace di dare prospettiva di diffusione della lingua italiana, non può eludere la necessità di costruire relazioni positive con queste realtà; un processo virtuoso non solo in relazione alla diffusione della lingua ma anche alla valorizzazione della partecipazione democratica di tanti cittadini italiani emigrati all’estero.

Gli Istituti di Cultura Italiana all’estero

La durezza dei tagli alle risorse e la necessità di riallineare la distribuzione degli istituti, ha prodotto un vivo allarme nel mondo accademico e culturale. Nel corso dei primi mesi del 2014, numerosi sono stati gli appelli di intellettuali e studiosi perché si evitasse la chiusura di altri Istituti. Nelle diverse dichiarazioni che si sono susseguite, molto forte è apparsa la preoccupazione per una sostanziale dismissione dell’impegno del nostro Paese per la diffusione della lingua italiana proprio in una fase in cui, come abbiamo detto, crescono le ragioni della sua attrattività. In quelle dichiarazioni erano anche presenti elementi importanti per una riflessione propositiva: il futuro degli Istituti non può prescindere da una loro riqualificazione e riforma che ne assicuri qualità ed efficienza.

Emergono dunque tutti gli elementi di debolezza che nel tempo hanno reso fragili ed inidonei ad affrontare la complessità del presente, proprio le strutture che dovrebbero costituire l’asse portante di una azione di diffusione della lingua italiana. Il fatto che alcuni degli Istituti abbiano raggiunto livelli di qualità eccellenti, riconosciuti all’estero, non cancella i limiti strutturali che nel tempo si sono sedimentati. Non esiste dunque solo un problema di riorientamento/razionalizzazione della rete. Si tratta di riprendere in mano la leva dell’autonomia attraverso innanzitutto professionalità preparate a compiti sempre più complessi e non riducibili a poche e statiche figure burocratiche. Flessibilità, qualità, competenza, sono oramai requisiti necessari per essere protagonisti nello scenario mondiale. L’alternativa a tutto ciò non può essere la progressiva riduzione e soppressione degli Istituti di Cultura Italiana all’estero, perché ritrarsi da questa dimensione internazionale, significa produrre un danno rilevante al sistema-Italia. Con un ruolo certamente diverso, anche le scuole italiane all’estero concorrono alla diffusione della lingua. Il nostro Paese dispone di 140 scuole, di cui 8 statali. Il loro curricolo interamente in italiano su tutte le materie deve essere rivisto nel futuro altrimenti questi istituti faticheranno ad intercettare sia la domanda degli italiani di seconda generazione, sia la domanda di stranieri che vorrebbero avvicinarsi alla lingua italiana per un investimento anche di tipo professionale. Oltre gli 8 istituti, il panorama scolastico appare sempre più frammentato e complesso. L’inserimento nel curricolo di un paese straniero della lingua italiana, avviene con modalità diverse da Paese a Paese in relazione al dispiegarsi di molte variabili (in primis l’accertamento della domanda e le normative dei diversi Paesi) e soprattutto alla capacità di muoversi in un labirinto complesso di relazioni politiche e diplomatiche. E’ infatti del tutto evidente, rispetto alla fase che ancora caratterizzava gli anni 70-80 (la domanda dei nostri emigrati che chiedevano per i propri figli, anche come espressione della propria ricerca di identità, una opportunità di apprendimento della lingua italiana) che oggi la situazione sia caratterizzata di una persistente multiformità: c’è una domanda dei figli di seconda generazione dei nostri emigrati; ci sono cittadini stranieri che esprimono una domanda di lingua, come opportunità per interloquire con esperienze professionali e produttive; ci sono cittadini stranieri che aspirano a una conoscenza della lingua italiana per meglio comprendere il patrimonio artistico e culturale del nostro Paese; ci sono cittadini stranieri che aspirano a una competenza linguistica per agevolare, con il complemento della propria lingua, i processi di inserimento sociale e professionale dei propri connazionali immigrati. Insomma, prepotentemente, avanza il bisogno di una competenza linguistica di italiano L2. Ma chi può assicurare la formazione a questa competenza? Come collocarla nel mercato del lavoro dei docenti? Quali percorsi di carriera? C’è qui un ampio margine di ricerca ed elaborazione oggi al centro delle esperienze di alta qualità che sono in corso presso le università per stranieri; esperienze essenziali per rimettere mano ai processi di formazione e reclutamento del personale.

Il nodo centrale della governante

Le criticità evidenziate pongono come centrale il tema della governance. Frammentazione e dispersione (di risorse, energie, processi) giocano infatti un ruolo determinante nella debolezza del complessivo sistema per la diffusione della lingua e della cultura italiana all’estero. Su questo versante vano dunque ricercate nuove ipotesi di lavoro, in grado di attenuare e possibilmente superare le attuali criticità. Fino a quando la diffusione della lingua e della cultura italiana all’estero resterà un settore, per quanto prestigioso, delle attività del solo MAE, difficilmente la debolezza politica oggi evidente, potrà essere compiutamente superata. Ma se diventano parte delle politiche generali del Paese, allora il centro della governance di questa politica deve essere il Governo in prima persona. Nasce da qui l’idea di una agenzia “autonoma” che costituisca il luogo della individuazione delle linee strategiche alle quali orientare le scelte da implementare sui diversi versanti. Una simile impostazione è già presente in alcuni Paesi europei (ad esempio Francia e Spagna in cui pesano però storie e tradizioni importanti che hanno influenzato fortemente le politiche sulla diffusione di quelle lingue) potrebbe costituire il livello centrale del governo strategico delle politiche. Tale agenzia preferibilmente collocata presso la Presidenza del Consiglio deve, per poter contare su una forte capacità di azione, assicurare la sinergia dei responsabili dei diversi dicasteri. Nella definizione della sua composizione, bisognerà tener conto di una significativa rappresentanza dei soggetti culturali e scientifici in materia, in primo luogo le tre università che si occupano specificatamente della formazione e la diffusione della lingua italiana (Siena, Perugia, Roma3) ma anche personalità di spicco, del mondo della cultura, della scienza e della scuola, che hanno mostrato interesse a tale impresa. Per quanto riguarda in particolare la Rai, la nuova concessione del servizio pubblico che il Governo afferma di voler approvare entro il 2014, deve esplicitare le linee di indirizzo necessarie per sviluppare questo tipo di attività in grado di implementare nei rispettivi dicasteri le linee decise a livello generale ma anche in grado di formulare proposte ed ipotesi di lavoro. Il problema della governance resta dirimente anche nelle politiche territoriali.

Siamo infatti in presenza di una frammentazione generale dove l’autonomia è sinonimo di separatezza e reciproca estraneità. Inutile dire che in un simile contesto anche la risorse finanziarie, progressivamente esposte in questi anni a tagli molto pesanti nel settore, non riescono a produrre esiti significativi mentre appare palese il rischio di sprechi e gestione dispersiva dei processi. Occorre dunque immaginare anche per questo livello una innovazione di governance. E si tratta, peraltro, del livello in cui si incrociano i tanto discussi Istituti Italiani di Cultura all’estero. Proprio nei mesi scorsi, tra chiusure di annunci e chiusure realizzate, tra appelli al mantenimento degli istituti e richiesta di rinnovamento degli stessi, si è consumato anche sulle pagine dei quotidiani un difficile dibattito tra il mondo della cultura e il MAE.

Siamo convinti che l’abolizione o la progressiva riduzione degli ICC, non sia la prospettiva giusta da perseguire. Si tratta dunque di valutare se, con le opportune modifiche, normative ed organizzative, gli attuali ICC possano diventare “reti o centri territoriali” in grado di dirigere, coordinare e vigilare l’insieme delle attività (dalle iniziative culturali, alle scuole, ai corsi) che si svolgono su quel territorio, attivando le opportune intese con i Paesi ospitanti e praticando sul campo una vera autonomia, gestionale, finanziaria e progettuale, di cui assicurare la puntuale rendicontazione. Affinchè ciò sia possibile occorre pensare a nuove professionalità in grado di soddisfare le diverse funzioni ipotizzate: capace di assicurare sia la gestione politico-istituzionale della rete, sia la gestione tecnico-amministrativa della stessa. In questo nuovo quadro normativo, dovranno inoltre essere definite le nuove regole cui dovranno attenersi anche quegli enti gestori che intendessero far parte del sistema pubblico integrato. Andranno pertanto definite nuove norme per l’accreditamento, il funzionamento, il requisito del rilascio delle certificazioni, gli standard di qualità del personale impegnato, in modo di assicurare, sia pure in un contesto aperto e flessibile, la centralità dell’intervento pubblico e la qualità complessiva del sistema.

Il Livello territoriale “periferico”

I problemi di spesa sono destinati ancora a pesare pesantemente nello sviluppo delle politiche auspicate e inoltre, lo sviluppo del processo di unificazione dell’Europa da una parte, e le esigenze di insediamento in nuove ed importanti aree del mondo (Sud est asiatico, Cina e Thailandia, America del sud), determineranno prevedibilmente spostamenti e nuovi assetti della nostra presenza nel mondo. In buona sostanza, la rete sia pure rinnovata degli attuali ICC, non potrà coprire per un periodo non breve l’intero spazio della politica estera del governo italiano. Eppure anche a questo livello va assicurata una capacità di intervento sul modello delle reti/centri territoriali di cui sopra. In questi contesti, in modo inevitabilmente flessibile, per un certo periodo le funzioni che abbiamo indicato per il livello precedente, potrebbero essere assunte dalle nostre Ambasciate o Uffici consolari, valorizzando e promuovendo competenze specifiche per gli addetti culturali e un team di collaboratori. Verrebbero in tal modo a configurarsi, in maniera graduale ma non meno efficace, le condizioni ipotizzate per il livello territoriale “avanzato” già descritto. Sarebbe davvero importante, sul piano politico e culturale, dedicare uno specifico spazio a questa importante questione, nel grande scenario dell’EXPO 2015.

Un nuovo quadro normativo

Una governance così concepita necessita certamente di ulteriori modifiche del quadro legislativo, a partire dalla sburocratizzazione del sistema e la promozione, effettiva, di una autonomia didattica, finanziaria, e progettuale, in grado di poter leggere ed interpretare i vecchi e nuovi fabbisogni formativi, misurandosi positivamente con le realtà locali dei Paesi ospitanti ed assicurando un’offerta formativa a tutto tondo, dall’istruzione dei giovani all’educazione degli adulti. Una simile prospettiva richiede la realizzazione di modelli didattici e pedagogici innovativi e di qualità. Tale obiettivo potrà essere conseguito solo attraverso la formazione del personale dirigente, amministrativo e docente. Formazione e reclutamento del personale, costituiscono pertanto uno snodo centrale che dovrà essere compiutamente realizzato con un ruolo centrale della contrattazione collettiva.

Luigi Berlinguer

Nel corso della mia carriera ho potuto constatare di persona l’acuto bisogno di una presenza culturale italiana fra i nostri emigrati e l’ammirazione di cui gode il nostro Paese all’estero per la sua cultura, il suo paesaggio, le sue tradizioni. Ho conosciuto emigranti che, per quanto assimilati ai Paesi ospiti o perfettamente integrati, coltivano con cura la nostalgia, il ricordo, il legame con le proprie origini. Certo le caratteristiche del fenomeno migratorio cambiano, a seconda che si tratti di immigrati di prima, seconda o terza generazione, ma l’attitudine verso il Paese d’origine non cambia. Ho conosciuto immigrati di terza generazione che, pur non conoscendo talvolta l’Italia, ne parlavano con amore e devozione, attraverso il ricordo dei propri genitori, o nonni e che sentono fortemente l’esigenza di riappropriarsi, se non addirittura di appropriarsi di un patrimonio non solo linguistico, ma culturale per il quale esprimono un forte bisogno.

Le iniziative del governo in questo campo sono drammaticamente insufficienti, a maggior ragione oggi che la globalizzazione e l’intensificarsi della mobilità aprono nuovi scenari migratori, caratterizzati da connazionali con elevate competenze, non solo linguistiche, che ben possono essere considerati portavoce di un Paese moderno, liberando il campo dagli stereotipi che nel tempo si sono stratificati sulla nostra immagine nel mondo.

E infatti forse occorre riflettere sul perché si continui a sentirsi italiani nell’era della globalizzazione e, soprattutto, quale densità ci sia nel cuore di questo fenomeno e perché sia importante difendere la funzione educativa del coltivare nostra lingua e cultura.

Trovo di grande rilievo culturale e politico l’iniziativa della CGIL e della Fondazione Di Vittorio. Proprio perché propone una visione moderna della cultura. Come pure vorrei sottolineare la validità non solo culturale ma anche economica del promuovere la lingua e la cultura italiana all’estero, non solo perché i nostri migliori prodotti continuano ad esercitare all'estero una forte attrattività - perché percepiti come in grado di far vivere, in forme nuove e moderne, i caratteri antichi della cultura e dell’arte italiana – ma anche per la necessità di rendere il nostro paese sempre più appetibile per gli investimenti esteri.

È auspicabile che il rilancio della lingua e della cultura italiana, proprio per la densità dell’iniziativa, voglia superare la triste tradizione neo-idealistica degli studi in materia nel nostro paese, consegnata quasi totalmente al valore della grammatica, della morfologia: il passo da compiere è cogliere l’Anima della lingua, essa stessa cultura, ben lungi dal suo mero carattere strumentale di forma comunicativa.

Nelle considerazioni che accompagnano la proposta in oggetto si affronta anche il tema degli istituti culturali all’estero e del difetto opposto a quello accennato: quello cioè di promuovere la “cultura italiana” separata dalla lingua. Tanto errato è ridurre la lingua a grammatica, quanto ridurre la promozione culturale al solo momento letterario o artistico. È nell’integrazione fra lingua e cultura che questa iniziativa acquista la sua valenza moderna e generale.

Il nostro brand, il brand italiano più efficace, è proprio nella sintesi di lingua e produzione culturale.

Tuttavia vorrei cogliere l’ulteriore valore nella forza formativa dell’insegnamento di lingua e cultura all’estero nella società del plurilinguismo e dell’interculturalità. Una educazione moderna non può non cogliere il valore formativo dell’appropriarsi di una seconda lingua, se non di più lingue. E quindi della ferace contaminazione reciproca offerta da lingue diverse nel patrimonio di base del cittadino di oggi. Il grande poeta latino Ennio diceva di avere tria corda (tre anime), perché conosceva tre lingue: il greco, la lingua dei colti, il latino, quella dell’amministrazione e, insieme, l’osco, la lingua della sua terra d’origine. Penetrare la ricchezza espressiva, le molteplici regole linguistiche, le diverse efficacie comunicative e i diversi sostrati storico-culturali e formarne un unico patrimonio educativo, interculturale, è certamente un arricchimento da non perdere.

La filosofia dell’oggi vive all’insegna dell’inter-connessione, della forte interrelazione e, insieme, dell’integrazione fra i diversi, non della monocultura. E l’Europa è sicuramente il crogiuolo più efficace in tutto questo.

L’iniziativa che stiamo presentando intende dare autonomia alle istituzioni educative italiane all’estero, in modo che possano operare gli adattamenti più idonei a corrispondere alle specifiche esigenze locali. Ed è auspicabile che l’iniziativa di promozione della lingua italiana agli stranieri si svolga all’insegna della novità, di una base autonomistica molto robusta, che anche nel nostro paese abbiamo voluto introdurre con la scuola dell’autonomia, seppure oggi così depotenziata, e che, anzi, ha bisogno di un vigoroso rilancio poiché la base strutturale di un apprendimento moderno non può essere che l’autonomia dei sistemi educativi.

Italiano nel mondo: prospettive (necessarie) di sviluppo.
Di Monica Barni – Rettrice dell'Università per Stranieri di Siena

Alla vigilia degli Stati Generali della Lingua Italiana, il tema al centro del dibattito è tra quelli che periodicamente occupano la discussione, ma che purtroppo velocemente vengono dimenticati: il ruolo della lingua italiana nel mondo, le modalità, gli strumenti, i mezzi per una progettazione degli interventi, le figure coinvolte.

La Fondazione Di Vittorio attraverso un’ampia rete di contatti nel corso del 2013 e 2014 ha cercato di verificare le condizioni di un possibile (ma necessario e non più dilazionabile) cambiamento dei modi in cui l’Italia può svolgere formazione all’estero per sviluppare e rafforzare la posizione della lingua italiana. Tale aspetto si interseca con le varie dimensioni dell’italofonia e anche con i recenti flussi emigratori che ridisegnano la mappa della presenza italiana nel mondo.

Dal nostro punto di vista l’Università per Stranieri di Siena, per la sua stessa specificità e missione, è un osservatorio privilegiato della condizione dell’italiano e del ruolo degli italofoni e delle comunità italiane nel mondo, grazie all’attività di ricerca che svolge sul tema, attraverso il Centro di Eccellenza della Ricerca – Osservatorio Linguistico Permanente dell’Italiano diffuso fra stranieri e delle lingue immigrate in Italia, e all’analisi dei pubblici coinvolti nelle attività (certificazioni, corsi di lingua italiana a distanza e in presenza che coinvolgono anche italiani residenti all’estero, discendenti di italiani, seconde generazioni di italiani all’estero).

Tali attività hanno permesso alla Stranieri di assumere il ruolo di osservatorio privilegiato per una possibile politica linguistica e culturale, che purtroppo per anni è stata poco organica, se non addirittura assente. Tale ruolo ha permesso di captare i profondi mutamenti di posizione della lingua-cultura-economia-società italiana nel mondo globale sotto la spinta delle mutate esigenze di sviluppo linguistico – avente come protagonista l’italiano – sia all’estero, sia in Italia: esigenze sentite dal complesso del corpo sociale in quanto strumento del generale sviluppo culturale, ma anche, in modo particolare, sentite dal sistema economico-produttivo, impegnato nei processi di internazionalizzazione e perciò coinvolto pienamente nello sviluppo della consapevolezza circa il ruolo di apripista che la lingua-cultura italiana ha anche per la diffusione delle nostre merci nel mondo.

In un panorama attuale che vede una fortissima presenza di italiani all’estero, con in aumento la percentuale di coloro che sono partiti in anni recenti (anche verso aree non tradizionalmente indicate come meta dell’emigrazione italiana, ad es. l’Est Europa) sono presenti competenze e contatto con l’Italia diversificati. Mentre la maggior parte degli anziani possiede il dialetto, la lingua con cui sono partiti i loro avi, e gli adulti possono avere competenze in diversi italiani (regionale, popolare, standard ecc.), essendo cresciuti e formatisi in Italia prima di partire, per la maggior parte delle seconde-terze-quarte generazioni di giovani e adulti l’italiano è una lingua straniera, anche se indicata (talvolta erroneamente) come lingua della comunità di origine. La compresenza e la stratificazione diacronica di gruppi con competenze diverse in italiano, considerato anche che il loro contatto con la lingua italiana può essere stato molto diversificato negli anni (a seconda dei percorsi migratori e della possibilità di esposizione ai media), hanno creato una condizione della lingua italiana nel mondo molto articolata e diversificata, a cui non può essere data una risposta omogenea. Se da una parte anche per gli ‘emigrati italiani più recenti’ sono presenti i problemi di sempre, evidenziati periodicamente nelle relazioni dei CGIE e Comites ecc., in relazione al bisogno di formazione in lingua italiana, per una parte di essi l’italiano, rispetto al passato, rappresenta una competenza posseduta e nella quale si è cresciuti e la vera sfida è il mantenimento dell’italiano nelle ‘future’ seconde generazioni. Far comprendere il ruolo del mantenimento delle lingue di origine, in un mondo dai confini più facilmente superabili, è un valore di base (non tanto ‘aggiunto’). Sempre di più convivono forme di italofonia diversificate e bisogni che vanno rilevati, in termini di insegnamento della lingua italiana, diffusione dei media e loro contenuti, rapporto con la realtà economica, culturale, sociale di insediamento (presenza di italianismi, uso della lingua italiana per specifiche professioni, ruolo nel paese di politiche mirate al bilinguismo, monitoraggio dei discendenti italiani, rapporto con altre comunità immigrate). In questo senso anche le politiche messe in atto dalle Regioni nei confronti degli italiani nel mondo (ad es. Toscani nel mondo, Friulani nel mondo, Campani nel mondo ecc.) possono trovare spazio e coordinarsi nelle specifiche realtà.

La risposta a questa complessa situazione può essere semplicemente un generico coinvolgimento delle comunità italiane all’estero nella diffusione dell’italiano, o una loro erronea considerazione come “ambasciatori della lingua e della cultura italiana ne mondo”, lingua e cultura che molti di loro non hanno mai posseduto. La risposta deve essere molto più complessa, così come complessa è la situazione. Occorre agire in modo diversificato sui gruppi per i quali la lingua italiana è un’esigenza di appropriazione/riappropriazione/ricostruzione di un legame con un passato più o meno lontano, anche decostruendo stereotipi e luoghi comuni; occorre convincere gli italiani partiti più di recente (partiti anche per una delusione nei confronti dell’Italia di oggi) che la lingua è una eredità da non perdere/disperdere/cancellare nel percorso migratorio che vivono. Valorizzare quindi livello di istruzione e competenze linguistiche per rendere questi gruppi portavoce di un’Italia contemporanea, mobile e più consapevole della mobilità, in grado, anche quando la scelta di vivere fuori dell’Italia fa parte di un percorso migratorio a lungo termine, di essere portavoce della lingua italiana nel mondo. Di questo gruppo fanno parte anche tutti quei giovani e adulti che partono dall’Italia per andare a svolgere attività correlate a quei terreni di eccellenza/successo dell’Italia nel mondo: designer, architetti, artisti ecc., ma anche docenti di lingua italiana come L2, formati specificamente per svolgere questo ruolo, la cui professionalità dev’essere un valore/ruolo riconosciuto in Italia come all’estero e in grado di interagire adeguatamente e consapevolmente con il contesto formativo del paese di arrivo. In un’ottica di una seria programmazione politica riconoscere la specifica funzione di tale professione, anche attraverso una specifica classe di concorso e modalità innovative di impiego, è funzionale ad ogni azione che verrà messa in atto. Al riconoscimento professionale del docente di italiano L2 si accompagna la necessità di realizzare strumenti e prodotti tipici di un’industria culturale e linguistica (intendendo anche corsi di lingua, certificazioni, trasmissioni radiofoniche e televisive) che abbiano l’obiettivo di migliorare qualitativamente la presenza della lingua e cultura italiana.

Il 7 ottobre 2014, in occasione della presentazione del IX Rapporto degli Italiani nel mondo della Fondazione Migrantes, il Sottosegretario agli Esteri con delega agli Italiani nel mondo, Mario Giro, ha sottolineato “una mancanza, non solo politica: una distanza non colmata tra italiani d'Italia e italiani all'estero. Bisogna capire, studiare. La politica deve affrontare i problemi delle comunità all'estero, l'Italia deve darsi una politica per gli italiani all'estero”.

Queste parole riportano al tema della necessità di una politica per l’italiano nel mondo sistemica, organica, consapevole della diversità delle situazioni, pronta a dare risposte adeguate ai diversi bisogni, e quindi efficace, in grado di mettersi in relazione con le politiche dei diversi paesi del mondo in cui la lingua italiana è presente, nonché con le politiche europee. Questo, purtroppo, fino ad oggi è mancato.

Domenico Pantaleo, Segretario Generale FLC CGIL

La FLC CGIL ha partecipato con convinzione, insieme a FDV e la Cgil, alla predisposizione di una proposta di riordino del sistema per la diffusione della lingua italiana nel mondo e delle istituzioni scolastiche e formative all’estero: garantire un diritto alle persone, a cominciare dai nostri connazionali all’estero, e assieme sviluppare una grande opportunità per il futuro del paese rappresentano i presupposti di questa iniziativa. In questi anni, invece, il blocco della contrattazione, la riduzione progressiva delle risorse e una discutibile gestione del personale da parte del MAE, hanno determinato un progressivo svuotamento di queste attività provocando un lungo contenzioso e condannando lo stesso sistema ad un inesorabile declino. Abbiamo arginato i danni più rilevanti ma se vogliamo rispondere alle nuove domande di cittadinanza, se vogliamo fare della diffusione della lingua e cultura italiana nel mondo un volano anche per stimolare e sostenere una ripresa della crescita e tornare, così, a creare occupazione e lavoro, serve un salto politico di qualità. C’è un immenso patrimonio culturale, artistico, artigianale, produttivo, che attende di essere reso fruibile anche attraverso il rilancio della cultura e della lingua italiana nel mondo. Serve allora una proposta politica che riconduca alle dirette responsabilità del Governo la gestione e il coordinamento dell’insieme delle politiche per la diffusione della lingua italiana all’estero. La proposta propone pertanto l'esigenza di un intervento legislativo, non più rinviabile, per un profondo riordino delle istituzioni scolastiche e dei corsi di italiano all'estero, attraverso un nuovo impegno per l'apprendimento della lingua italiana come veicolo di una strategia economico-culturale moderna e adeguata a rispondere alle sfide che la globalizzazione ci impone. Per realizzare questo obiettivo, è fondamentale riaprire una contrattazione di settore a tutto campo che si innesti nel contesto di un nuovo quadro normativo e che innovi procedure e strumenti più avanzati per la diffusione della lingua, dell’arte e della cultura italiana nel mondo. Serve questo salto politico perché del tutto nuovo è il contesto mondiale ed europeo di riferimento. In una Europa plurilingue, la competenza linguistica che dobbiamo assicurare deve saper mettere in comunicazione culture diverse ed insieme valorizzare le proprie radici.

Ci convince la modalità scelta per realizzare questo obiettivo ed è importante che sia la CGIL, la Fondazione Di Vittorio e tutte le strutture della CGIL che a vario titolo si occupano di italiani all'estero e di migrazione ad avanzare una unica proposta condivisa e sostenibile. E’ del tutto evidente che spetterà alle forze politiche la responsabilità di un nuovo provvedimento legislativo. Ma il coinvolgimento attivo di lavoratori e cittadini, attraverso proposte di merito sostenute anche con la sottoscrizione di una petizione da far pervenire a tutti i soggetti a vario titolo interessati, acquista oggi un valore particolare: quello di tornare a sollecitare la partecipazione attiva, l’ impegno in prima persona, per la costruzione di un efficace movimento e consenso su cui rilanciare la nostra politica culturale nel mondo.

Gianna Fracassi, Segretaria confederale CGIL

In questa crisi così drammatica che attraversa il mondo del lavoro, troppo poco si coglie la potenzialità anche “economica” dell’immenso patrimonio artistico e culturale del nostro Paese che ha nella conoscenza della lingua un vettore fondamentale. Sottovalutazioni, settorialismi e talvolta sbagliate competizioni tra burocrazie, impediscono di sviluppare e far esplodere l’immensa ricchezza che è un tutt’uno con i prodotti più prestigiosi del made in Italy. Per realizzare questo ambizioso obiettivo serve un progetto paese, una proposta politica capace di innovare profondamente: di superare vecchi settorialismi, di assicurare una governance efficace con una molteplicità di interventi di diversi dicasteri, amministrazioni ed associazioni. Una struttura insomma che senza esautorare nessuno si ponga come espressione diretta del Governo e tenga ben salde le relazioni tra una nuova politica di valorizzazione dell’arte, della cultura e della lingua italiana e le politiche più complessive del lavoro e dello sviluppo del Paese. Tutto ciò richiede la fine della logica dei tagli anche in questo settore e il superamento di una politica riduttiva, lacerata tra annunci di slancio europeista e la chiusura, quasi inesorabile, degli istituti italiani di cultura.

Una forte diffusione della lingua italiana nel mondo, compreso, non dimentichiamolo anche i problemi di analfabetismo nel nostro Paese, è la condizione fondamentale per realizzare questa politica. In questa necessità di diffusione della lingua non c’è solo la giusta valorizzazione dello “strumento” che consente la comunicabilità, la trasferibilità, di prodotti e cultura. C’è anche l’estensione di un diritto fondamentale. In una Europa e in un mondo plurilingue, i figli e i discendenti dei nostri connazionali ma anche quei cittadini di altri paesi che intendano realizzare le proprie aspirazioni in Italia devono poter apprendere, insieme alla lingua locale, anche la nostra lingua. Un diritto ma anche per una competenza spendibile nel mondo del lavoro, un modo concreto per far vivere in modo moderno i caratteri della cultura e dell’arte italiana e della produzione di qualità del nostro paese. Per queste ragioni la CGIL ha costruito assieme alla Fondazione Di Vittorio e ad altre nostre importanti strutture la proposta per la diffusione della lingua italiana, resa pubblica in questi giorni. Anche la scelta di raccogliere le firme tra i nostri lavoratori in tanti Paesi e fra i cittadini emigrati ed oriundi nel mondo, è una scelta importante. I diritti, la loro diffusione, viaggiano sulle gambe delle persone e delle battaglie che uomini e donne hanno sostenuto nel tempo. Non si consumano in uno spot. Richiederanno ancora impegno e capacità di mobilitazione. È ciò che la CGIL continuerà a fare.

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