FFO 2024: una gelata estiva che annuncia un nuovo lungo inverno per l'università pubblica del nostro Paese
Lo schema di DM che definisce il Fondo di Finanziamento Ordinario cerca di nascondere tagli che rischiano di metter in ginocchio i 2/3 degli atenei
Da alcuni mesi abbiamo segnalato il rischio di una nuova fase di squilibri del sistema universitario nazionale. Nell’assemblea nazionale che abbiamo tenuto lo scorso 19 ottobre a Firenze avevamo infatti sottolineato la nuova emergenza universitaria: non solo i costi e l’assenza di alloggi per studenti, un diritto allo studio troppo limitato, il nuovo rallentamento nelle iscrizioni, le sperequazioni tra atenei (a cui abbiamo fatto seguire un approfondimento sulle università telematiche), ma anche le rinnovate tensioni nei bilanci universitari per la crescita dei costi di funzionamento dovuti all’inflazione, l’espansione dei costi del personale (in seguito ai rinnovi contrattuali e agli adeguamenti ISTAT) e le risorse stagnanti. I grandi investimenti del PNRR si sono infatti focalizzati sulla ricerca e le imprese (come sottolinea lo stesso titolo della seconda componente della Missione 4), indirizzando fondi considerevoli sull’estensione di reti e centri di ricerca, popolati da una nuova bolla di precariato (oggi abbiamo oltre 21mila assegni di ricerca e 9mila RTDa), senza minimamente intervenire sui limiti e le sperequazioni cresciute del precedente decennio perduto. Queste faglie erano già presenti nel Fondo di Finanziamento Ordinario 2023, segnalate da noi come da CUN e CNSU, con risorse reali calanti ed una quota base oramai sotto il 50% dei finanziamenti. La quota base è quella componente del FFO libera da vincoli di destinazione (diversamente dagli importi finalizzati per legge) e teoricamente stabile (diversamente dalla componente premiale, distribuita sulla base delle valutazioni ANVUR), di fatto il reale finanziamento impiegato per l’ordinaria attività degli atenei sulla base della loro programmazione. Questa dinamica aveva già sollevato preoccupazioni in diversi discorsi di inaugurazione dell’anno accademico e portato alcuni atenei a sospendere di fatto il regolare turn over del personale, come segnalato da noi e più autorevolmente dal CUN.
Oggi l'emergenza esplode con un’importante contrazione delle risorse nominali del FFO, che rende evidente e al contempo radicalizza queste tensioni sui bilanci. Nel giro di un paio d’anni quasi due terzi degli atenei statali rischiano di non chiudere i conti, aprendo uno stato di crisi e di contrazione dell’università persino peggiore di quello che abbiamo visto tra 2010 e 2015. Il FFO del 2024, infatti, registra la scelte strategiche di questo governo. La riattivazione del patto di stabilità europeo e la conseguente necessità di manovre di rientro del deficit e del debito, in conseguenza della scelta politica del governo di tagliare la spesa pubblica piuttosto di perseguire l'aumento delle entrate con interventi sugli extra profitti, l'equità della tassazione e la lotta all'evasione fiscale, hanno portato l’esecutivo Meloni ad intervenire con i tagli consistenti sulla formazione terziaria, in controtendenza con le scelte europee. In un paese in cui la spesa per l’università è inferiore all’uno per cento del PIL, contro una media OCSE dell’1,6%, il FFO di quest’anno prevede un taglio effettivo di oltre 500 milioni di euro, circa il 5% delle risorse. Una gelata improvvisa, che apre una stagione di nuovi e significativi tagli della principale fonte di finanziamento delle università pubbliche, ancora più grave per la loro concreta ripartizione: larga parte della contrazione, 385 milioni di euro, è infatti scaricata sulla quota base, che così si riduce di quasi il 10%.
Il FFO rappresenta la maggior fonte di finanziamento per le 67 università statali del paese: come indica il suo nome, fornisce le risorse per le attività istituzionali degli atenei (erogazione dell’offerta formativa, ricerca di base, la cosiddetta terza missione e le retribuzioni del personale). Il FFO copre infatti oltre 2/3 delle entrate degli atenei: un cruciale 15% deriva dalla tassazione studentesca (in diversi atenei superando il limite del 20%, come ha sottolineato la Corte dei Conti nel 2021, come ha ribadito il Consiglio di Stato quest’anno, imponendo all’Università di Torino la restituzione di quasi 40 milioni di euro); la restante parte deriva da altri soggetti (in particolare progetti di ricerca europei e internazionali, conto terzi, finanziamenti da enti locali e fondazioni bancarie del territorio, scarsissimi contributi privati).
Il FFO 2024 è di 9,031 miliardi di euro. Lo scorso anno era di 9,209 miliardi. È la prima volta dal 2014 che torna a calare il suo importo nominale. Il FFO, infatti, ha conosciuto un calo significativo nei primi anni Dieci (-9,23% in termini nominali tra il 2009, 7,39 mld di euro, e il 2013, 6,7 mld di euro; -17,96% tenendo conto della svalutazione), ma dal 2016 c’è stato un progressivo recupero, con un FFO arrivato lo scorso anno a 9,2 mld di euro. Le risorse reali, in realtà, hanno superato quelle del 2009 solo nel 2021 (dati attualizzati ai valori del gennaio 2000, secondo l’indice ISTAT) e già dal 2022 hanno iniziato a calare (-1,35%), con una flessione accentuata lo scorso anno (-3,18%). Il calo apparente, quest’anno, è del 2%. Quello effettivo è molto maggiore.
Il taglio in realtà è ben più significativo. L’articolo 1, comma 297, lett. a) della Legge 30 dicembre 2021, n. 243 (la legge di bilancio 2022) aveva previsto un nuovo e significativo piano straordinario di assunzioni, che si proponeva di ampliare gli organici dell’università estendendo di fatto le sue facoltà assunzionali (assegnando, cioè, punti organico aggiuntivi alla dotazione dei diversi atenei). Il piano prevedeva di incrementare strutturalmente il FFO di ben 740 milioni di euro (una crescita rilevante, l’8,8% del FFO di allora), spalmando tale aumento in un quinquennio. Il 2024, come si evince dalla tabella sottostante, avrebbe allora dovuto vedere aggiungersi al FFO la tranche più consistente di quel piano, 340 milioni di euro!
piano straordinario | anno | Euro (milioni) |
A | 2022 | 75 |
Dal 2023 | 300 | |
B | Dal 2024 | 340 |
C | Dal 2025 | 50 |
D | Dal 2026 | 50 |
totale | Dal 2026 | 740 |
I 340 milioni di euro destinati a questo scopo effettivamente sono confermati, ma conseguentemente il taglio rispetto lo scorso anno è in realtà molto più ampio dei 173 milioni di euro che appaiono nella differenza tra i saldi dei due FFO. In pratica, il FFO 2024 per mantenere le altre risorse invariate avrebbe dovuto essere di circa 9,55 miliardi di euro, il suo saldo 9,031 mld di euro registra quindi un calo di circa 520 milioni di euro; o ancora, il FFO 2024, al netto delle nuove risorse previste dal piano straordinario, è in realtà di 8,69 miliardi di euro, pari a circa 5,46 miliardi in valore attualizzato al 2000, con un calo nominale di circa il 5% ed uno in termini reali del 6,82%. Questa effettiva diminuzione di risorse, infatti, emerge con evidenza nel taglio delle diverse voci del FFO, al netto del piano straordinario.
Per tentate di occultare questa dinamica, lo schema di Decreto ministeriale aggiunge all’art 2, nella cosiddetta quota base, due importi finalizzati per legge: la compensazione per gli atenei di una parte degli importi previsti per il ritorno degli scatti dei docenti universitari da triennali a biennali deciso con la legge di bilancio 2018 (circa 146 mln di euro); le risorse per la valorizzazione del Personale Tecnico, amministrativo e bibliotecario degli atenei deciso dalla Legge di Bilancio 2022 e poi regolato dal recente CCNL Istruzione e ricerca 2019/21 (circa 48 mln di euro). Nei precedenti FFO tutti gli importi vincolati per legge sono indicati in coda, come una componente a sé stante oltre la cosiddetta quota base e la cosiddetta quota premiale. Questo artificio contabile è quindi solo un maldestro tentativo di confondere le acque e in questa nostra presentazione, per calcolare la componenti effettive a disposizione degli atenei, useremo quindi lo schema classico del FFO, collocando questi importi nell’usuale sede delle risorse finalizzate per legge.
L’importante taglio delle risorse nel 2024 viene scaricato per larga parte sulla quota base. Il suo importo è infatti di 3,936 mld di euro; nel 2023 era 4,321 mld di euro. Il calo è di 384 mln di euro, cioè dell’8,89%. Oltre due terzi del taglio complessivo di quest’anno si concentrano su questa voce (il 73% circa), portando alla sua contrazione più significativa dal 2008, oggi ancor più rilevante perché avviene su una componente ridotta a quasi la metà rispetto allora. Da quell’anno, infatti, i diversi governi hanno progressivamente ridotto la quota base: allora era il 91%, nel 2010 il 78,32%, nel 2012 l’80,55%, nel 2014 il 72,62%, nel 2018 il 60,44%, nel 2021 passa per la prima sotto al 50% (49,94%), nel 2023 raggiunge il 46,95%. Quest’anno è il 43,59% del FFO (oltre 3,36 punti percentuali in meno). Questa dinamica storica era già stata sottolineata con preoccupazione nel 2023 sia dal CUN sia dal CNSU, proprio per la sua progressione in questi ultimi anni, a fronte del recupero di risorse complessive del FFO: una preoccupazione che non può che diventare allarme con questo ulteriore passaggio. In questo quadro, risulta particolarmente grave la scelta di tenere invariata la componente del costo standard di formazione studente (2,2 mld di euro), che diventa quindi il 57,69% della quota base (dal 52,39% dello scorso anno: un aumento del 5,3% in un anno), a spese della cosiddetta quota storica e di quella perequativa (articolo 11, comma 1, della legge 30 dicembre 2010, n. 240). La quota perequativa passa infatti da 150 a 136 milioni, con un ulteriore calo del 9,33%, dopo che già lo scorso anno era passata dai precedenti 175 a 150 mln di euro (-14,3%). Il costo standard (costruito con un algoritmo complesso che considera solo gli studenti in corso) presenta infatti parametri sbilanciati che favoriscono in particolare alcuni atenei ed alcune aree (a partire dal trasferimento di iscritti dal sud al nord che abbiamo visto in questi anni). L’espansione di questa componente è un processo avvenuto in particolare negli ultimi anni; era stata intorno al 30% della quota base sino al 2018, è arrivata al 40% nel 2020, al 48,75% nel 2022 e solo l’anno scorso aveva superato il 50%.
Il taglio delle risorse tocca quindi più o meno linearmente le altre voci del FFO. Cala del 4% la quota premiale (100 mln, da 2,5 a 2,4 mld di euro), cala la compensazione per il passaggio dagli scatti triennali a quelli biennali (da 150 a 146 mln di euro), viene infine toccato anche il fondo per la valorizzazione del Personale Tecnico Amministrativo e Bibliotecario (da 50 a 48 mln di euro): un provvedimento che riteniamo particolarmente sorprendente e molto grave, perché mette direttamente le mani nelle tasche di lavoratori e lavoratrici, togliendoli una parte degli aumenti salariali conquistati in questi anni. E tutto questo, proprio quando il governo ha dato il via libera ad una stagione di aumenti molto significativi degli stipendi dei Rettori, che in questi mesi si sono visti in alcuni casi persino raddoppiare le indennità. Ad esser salvaguardati (o toccati solo marginalmente) sono gli interventi per gli studenti (da 586 a 584 mln di euro), in un contesto in cui sono presenti a tutti/e le grave mancanze del diritto allo studio e l’emergenza sui costi di frequenza dei corsi, a fronte dell’inflazione e della condizione salariale in questo paese.
In questo quadro, aumenta il peso delle risorse distribuite secondo i parametri decisi centralmente. Come abbiamo prima ricordato cala la quota premiale, rimanendo però proporzionalmente stabile (27%), ma si espande significativamente la quota finalizzata legislativamente: da 1,578 a 1,915 mld di euro, sostanzialmente per i fondi 2024 del piano straordinario. Questa componente vincolata, cioè, passa dal 17,15% al 21,21% del FFO (+4,06%): nel 2014 era di soli 600 mln (8% del FFO) e oggi conosce un importante salto di qualità. La quota premiale è distribuita come gli scorsi anni utilizzando tre parametri (rispettivamente per il 60%, 20% e 20% dell’importo): i risultati della Valutazione della qualità della ricerca (VQR 2015-2019), le politiche di reclutamento (VQR dei soggetti reclutati dalle Università), la cosiddetta “valorizzazione dell’autonomia responsabile” (due indici individuati dai singoli atenei in relazione a ricerca, didattica e internazionalizzazione). Però anche larga parte delle quote finalizzate per legge, dai Dipartimenti di eccellenza ai diversi piani straordinari di assunzione, sono distribuite utilizzando simili criteri premiali, sostanzialmente basati sulla VQR (facendo crescere sempre più il peso delle divergenze tra i diversi atenei, con un calo importante della quota base e della quota perequativa).
La conseguenza di tutto questo è che la quota di salvaguardia sulla variazione dei trasferimenti ad ogni ateneo è portata al 4%. L’allegato 2 dello schema di decreto stabilisce che la quota perequativa è chiamata in particolare a ricondurre l’entità del FFO 2024 di ogni università entro l’intervallo (-4%, 0%) rispetto all’assegnazione del FFO 2023. A tal fine il riferimento è alla somma relativa al FFO composta da quota base, quota premiale, intervento perequativo e piani straordinari di reclutamento. Si stabilisce, cioè, un tetto massimo di riduzione dei tagli nei trasferimenti complessivi tra gli atenei e, in qualche modo, anche un tetto alla divergenza, con l’obbiettivo di evitare che qualche ateneo prenda risorse in più rispetto lo scorso anno. Sino al 2016, in realtà, i Decreti ministeriali avevano previsto una soglia di salvaguardia molto più bassa di quella odierna (-2%), a evidenziare che la stagione di tagli che stiamo oggi conoscendo è ancora più impattante di quella del decennio scorso. La stagione della crescita nominale del FFO (per diversi anni anche reale), dal 2016 agli anni scorsi, è stata invece segnata dalla determinazione di una soglia massima, per contenere in qualche modo le divergenze, che sino al 2019 arrivava al 3% del FFO dell’anno precedente. Il ministro Manfredi pose dal 2020 la quota di salvaguardia minima allo 0% (cioè, il FFO per un ateneo non poteva più diminuire, almeno nominalmente, da un anno all’altro), alzando però la soglia massima al +4%. Il FFO del 2022 ha portato questa soglia al +6%, quello del 2023 all’8%, aprendo quindi in modo sempre più significativo il ventaglio della divergenza. La gelata di questo FFO, e l’annuncio del prossimo inverno, è allora tutto contenuto in questo parametro, che fissa un tetto massimo a 0 e la più ampia variazione negativa mai definita in un Decreto ministeriale sui fondi universitari.
Il FFO 2024 segna un cambio di passo grave e profondo per l’università italiana. Si chiude in modo netto e deciso la stagione del recupero di risorse che abbiamo conosciuto dal 2016, che già mostrava faglie e preoccupazioni negli ultimi due anni. Si apre una nuova fase di tagli e contrazioni che rischia di debilitare e scomporre il sistema universitario italiano. Le sperequazioni di questo FFO, con la radicalizzazione di tutte le tendenze negative nella distribuzione delle risorse, non potranno che amplificare le divergenze tra territori e università, lasciando ulteriore spazio allo sviluppo alla giungla scarsamente regolata degli atenei profit e telematici, su cui abbiamo richiamato l’attenzione lo scorso aprile. Crediamo che non sia un caso, in questo scenario, che il governo abbia annunciato una nuova revisione del pre ruolo che moltiplica le figure precarie e annunciato un intervento complessivo per radicalizzare gli assi portanti della legge 240 del 2010. Ci attende allora un inverno deciso dal governo, a cui chiamiamo l’intera comunità universitaria a reagire, rivendicando un cambio complessivo di politica economica e sociale che non solo salvaguardi il sistema universitario nazionale, ma che lo rilanci come elemento fondamentale della coesione e dello sviluppo sociale del paese.
Su questo obbiettivo ci impegneremo nei prossimi mesi come FLC e come CGIL.