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Si è svolto a Roma il 12 luglio 2017 il Convegno nazionale della FLC CGIL “Docenza scolastica e contratto”. Al centro dell’incontro la funzione e la professionalità del docente, dopo otto anni di assenza di diritti, adesso che si stanno ricreando le condizioni per rinnovare i contratti anche nei settori pubblici. Leggi il programma.
A coordinare i lavori della mattinata (i lavori del pomeriggio) è Anna Maria Santoro, che nella sua presentazione racconta il senso di questa iniziativa, nella quale la FLC CGIL ha riunito quelli che dovrebbero essere i protagonisti della nuova stagione contrattuale.
“Negli ultimi tempi qualcosa è cambiato nei rapporti tra la politica e il sindacato e finalmente il lavoratore pubblico comincia a riottenere l’attenzione e la cura che merita, dopo anni di denigrazioni subìte”. La Segretaria nazionale attribuisce il merito principale di questo all’azione della FLC e di tutta la CGIL che hanno combattuto per rimettere al centro della discussione pubblica la dignità e la qualità del lavoro con tantissime iniziative, a partire dallo straordinario lavoro della Carta dei Diritti all’impegno sui quesiti referendari. Il cambio di clima è stato sicuramente segnato dall’accordo del 30 novembre che, nonostante alcuni limiti, è il punto più avanzato dell’azione sindacale a favore dei settori pubblici. “Adesso che siamo vicinissimi a questa apertura – incalza Santoro – ci sono tante cose che chiediamo per questo Contratto”. Che vengano riportate nel suo alveo tutte le materie che Brunetta e Renzi gli hanno scippato, che vengano rispettate la specificità della scuola e la sua autonomia di comunità educante, che possa avviarsi il processo di ripresa salariale, che vada oltre gli 85 euro medi e reperire per questo le risorse necessarie, che i nostri settori possano essere resi inclusivi anche attraverso il riconoscimento del lavoro precario, il cui valore non è inferiore a quello stabile.
Quello che la FLC CGIL si aspetta dall’atto di indirizzo, quindi, conclude Santoro, è che valorizzi la partecipazione, la collegialità e la contrattazione di secondo livello e che riaffermi la derogabilità delle norme in materia di rapporto di lavoro, di salario, di organizzazione del lavoro. Otto anni senza contratto hanno fatto male al Paese. Vogliamo dimostrare quale potenziale di democrazia, di innovazione, di attuazione dell’autonomia, un buon contratto possa essere nel momento in cui il lavoratore diventa protagonista delle scelte, dell’organizzazione, della costruzione di senso nell’ambito del servizio che svolge per la comunità.
Leggi la presentazione integrale di Anna Maria Santoro
La relazione introduttiva è stata tenuta da Maria Grazia Frilli, Responsabile della Struttura di comparto scuola statale FLC CGIL.
Lo scenario sul quale occorre fare una riflessione è quello che emerge dalla situazione in cui il docente si trova a operare, liberando il campo da sovrastrutture e narrazioni che puntano il dito sulla sua presunta inadeguatezza alle molteplici richieste formative che provengono dai contesti sociali e familiari dei giovani. Le condizioni di lavoro sono progressivamente peggiorate, accentuate dopo l’introduzione della legge 107/15 da un forte disorientamento che trae origine dalla debolezza del dettato contrattuale, ma anche dalla precarietà del ruolo educativo e relazionale, nonché da un carico di doveri dati per “obbligatori” per adempimento normativo. Tutto questo in un contesto di CCNI scaduto da 8 anni e nel perdurare di una lunga stagione di blocco salariale. Il rinnovo contrattuale rappresenta anche per la FLC CGIL l’occasione per aprire il confronto su una professionalità docente “valorizzata”, al centro di dinamiche tese al miglioramento dell’intero sistema scolastico, e nella prospettiva di un processo complessivo di servizi pubblici all’altezza di dare forti aspettative ai cittadini e nuovi orizzonti culturali al Paese.
L’Intesa del 30 novembre 2016 ha definito alcuni principi chiari, uno dei quali è la quantificazione dell’aumento salariale medio; altri fondi dovranno però essere messi a disposizione per realizzare concretamente le trasformazioni in atto. Ricondurre alla contrattazione tutte le risorse che la legge 107/15 ha frammentato e disperso, costituisce un’esigenza primaria per dare fiducia ai docenti e adeguato riconoscimento al loro impegno, oggi purtroppo sommerso e svilito. Ma riportare a contrattazione tutti i canali di finanziamento delle attività scolastiche, ha anche il senso di stabilire condivisione e legame tra l’apporto del singolo e il processo collettivo su cui si basano interventi formativi e l’organizzazione delle autonomie negli istituti, in cui l’apporto di tutti rafforza le attese di miglioramento. Non è certo il “merito”, criterio ispiratore dei vari provvedimenti attuativi della legge 107/15, a rappresentare la strada per incrementare la qualità di un’offerta formativa di sistema. Come FLC abbiamo una proposta articolata in piattaforma, approvata dagli organismi dirigenti, le cui linee guida trovano la condivisione di tutte le altre sigle sindacali: sono definite le materie che devono rientrare nel testo del contratto, perché attinenti il rapporto di lavoro e quindi soggette al confronto negoziale: risorse, impegni, organizzazione, obiettivi, tutele. Contestualmente c’è tutta la nostra disponibilità ad aprire con il MIUR un’analisi sulla professionalità docente senza alcuna censura, ma con i punti fermi di un riscontro che dia agli insegnanti autorevolezza del ruolo ed esigibilità dei diritti, in termini di competenze, retribuzione, formazione, orario di lavoro e valorizzazione, per un definitivo superamento delle anomalie e delle contraddizioni del quadro normativo attuale.
Leggi la relazione integrale di Maria Grazia Frilli
Il professore Massimo Baldacci, docente all’Università di Urbino, ci offre un excursus di quello che sono state le riforme “epocali” all’interno della scuola. La attuale condizione contraddittoria della scuola per lui è dovuta al fatto che il “diluvio” di provvedimenti normativi che l’ha travolta, è avvenuto senza avere alle spalle una vera idea di scuola. Un’idea che è fondamentale e necessaria per dare sensatezza a qualsiasi percorso di riforma e che ancora oggi può essere ritrovata nella nostra Costituzione. Nel secolo scorso una visione complessiva del sistema scolastico l’hanno avuta sicuramente Gentile, Gramsci e Dewey. Nella Costituzione riecheggia quello che è il nesso dewyano tra scuola e democrazia, solo in una democrazia si può educare e viceversa perché l’insegnante a cui dobbiamo pensare deve mirare col suo lavoro, al pieno sviluppo del cittadino. La storia della nostra scuola per Baldacci, può essere letta attraverso tre momenti fondamentali:
- la scuola bloccata fino agli anni 50
- la scuola del riformismo contradditorio fino alla fine degli anni 80
- la scuola della rivoluzione neoliberista.
La prima fase doveva assicurare il mantenimento di una società divisa per classi e di questa sistemazione la religione cattolica era il corollario. La seconda fase è stata l’epoca delle battaglie politico sindacali, di un riformismo dal basso per una scuola della costituzione. Abbiamo avuto la scuola media unificata, l’istituzione della materna statale, i decreti delegati, la formazione universitaria dei docenti. Riforme comunque caratterizzate da dei limiti perché, tranne alcune di esse, non siamo di fronte a riforme di sistema. Poi è arrivata la “rivoluzione neoliberista”, la democrazia è diventata d’intralcio allo sviluppo economico capitalista, gli stati non sono più nazioni ma aziende e le persone devono diventare imprenditori. In questo contesto la scuola diventa pezzo del sistema economico e palestra di competizione. In Italia questa egemonia si è vista con i ministeri Moratti e Gelmini nell’aspetto di una “controriforma”, poi, a partire dal 2011, questa ideologia si è tolta ogni maschera e rispetto al dettato costituzionale, oscura il cittadino, sostituendogli il “produttore” il tutto condito da autoritarismo. Lo spettro che aleggia su tutto è quello della perdita del lavoro, ma, come scriveva Erik Erickson “chi ha paura non può educare”. È ancora possibile allora portare a compimento una scuola della Costituzione” Per Baldacci sì perché come dice Habermas: “Il progetto costituzionale non è fallito, è incompiuto”. C’è bisogno di una lotta per l’egemonia, di ritornare a un insegnante come ricercatore, la lotta per il contratto valorizzazione culturale anche lotta sociale più ampia per cambiamento e scuola della costituzione.
“Un fantasma si aggira per le scuole italiane: l’idea che misurare abbia un valore in sé e che misurare e valutare tutto aiuti a migliorare le cose. Parliamone”. Ha voluto iniziare così Pietro Lucisano, docente di pedagogia sperimentale all’Università La Sapienza di Roma, la sua relazione sull’importante differenza tra valutare e valorizzare nella scuola di oggi. “La valutazione – ha continuato - è stato un tema su cui pedagogisti e insegnanti si sono sempre confrontati, fino a quando questo termine non è stato scippato dall’economia e la valutazione è diventata una forma di governo e controllo. A monte di questa smania di misure c’è un assunto profondamente antipedagogico: quello che l’autonomia possa essere concessa solo in presenza di forme di controllo. Un controllo che, al contrario di quanto si possa pensare, non migliora affatto le situazioni ma che, piuttosto, fa sentire inadeguati nel proprio vivere e lavorare i soggetti che lo subiscono”. Il controllo di cui parla Lucisano è quel controllo che ha trasformato il nostro modello di scuola da un modello educativo, “dove si valorizzano le differenze individuali degli studenti e li si aiuta a crescere e collaborare in un sistema equo, con risorse distribuite a chi ne ha più bisogno e docenti che collaborano tra loro” ad un sistema competitivo, “dove si selezionano gli studenti più capaci, dando risorse mirate a chi parte avvantaggiato in un sistema dove vengono premiate solo le scuole migliori e gli insegnanti competono tra loro”. Quel controllo che pone al centro di tutto il docente, un docente che non è più insegnante educatore, che guarda al mondo con fiducia e curiosità, assumendosi responsabilità ma che è, piuttosto, un impiegato del MIUR, “un caporale”, che tende, piuttosto, a controllare il mondo che lo circonda e non si assume responsabilità, ricercando solo procedure certe, perché teme i suoi superiori e (di conseguenza) svaluta gli inferiori. Lucisano ha voluto, poi, fare un passaggio “obbligato” sull’INVALSI. “Negli ultimi anni si è fatto di tutto per evitare di disporre di un sistema di valutazione rigoroso e impostato in modo scientifico, che aiutasse la scuola a crescere e i decisori politici a sostenere la crescita. E il passaggio da CEDE, che pur essendo un ente strumentale del Ministero era tuttavia gestito in modo assai più democratico e partecipato, all’attuale INVALSI ha provocato non pochi danni al sistema di valutazione. L’INVALSI, tra l’altro, misura, non valuta. E quando si misura bisogna farlo bene. I dati non solo sono relativi, determinati dal contesto, ma lo determinano a loro volta e dipendono fortemente da come e perché sono presi e dall’uso che se ne vuole fare. Eppure nessuno cresce se lo misuriamo spesso. Non diventiamo più ricchi contando soldi. Questa smania delle misure non ci fa diventare migliori”.
“Eppure basterebbe poco, ha voluto affermare Lucisano, in conclusione. Ricordare il ruolo che la Costituzione assegna a scuola e insegnanti. Ristabilire la fiducia. Fare ricerca, investire dove necessario identificando obiettivi prioritari. Tornare a quell’idea di scuola che tutto è fuorché azienda. Una scuola che per dirsi buona non compete, non controlla, non teme”.
Scarica le slide di Pietro Lucisano
Sono trascorsi dieci anni da quando è stato firmato l’ultimo contratto quadriennale del comparto scuola, ricorda Mario Ricciardi, docente di diritto del lavoro all’Università di Bologna, nell’apertura della sua relazione. Era un’altra stagione e forse si sta cancellando la memoria di ciò che è stata l’esperienza della contrattazione collettiva nei settori pubblici e nella scuola che, invece, è stata descritta come un universo parallelo nel quale sindacati dai “poteri tentacolari” tenevano prigioniera una dirigenza pavida o collusa. La contrattazione non è uno strumento perfetto ma, vuole ricordare Norberto Bobbio, “mentre una deliberazione presa a maggioranza è l’effetto di un gioco il cui esito è a somma zero, una deliberazione presa attraverso un accordo tra le parti è l’effetto di un gioco il cui esito è a somma positiva”.
Il professor Ricciardi ha voluto, allora, ripercorrere i passi della contrattazione collettiva, per come la intendiamo noi, dalla sua nascita, nell’ultima decade del secolo scorso al momento in cui è stata bruscamente interrotta, per far luce sul suo vero significato, settore pubblico e nella scuola in particolare.
“Alla luce del lungo percorso che è stato fatto dalla contrattazione collettiva fino ad oggi – incalza nella sua relazione Ricciardi – possiamo chiaramente affermare che questa nuova contrattazione può e deve avere un ruolo innovativo, pur tenendo conto delle linee guida stabilite dalla legge. Quali sono, o quali potrebbero essere, queste linee guida?
- Che debba essere previsto un meccanismo di riconoscimento dell’impegno organizzativo e didattico del personale docente;
- che il funzionamento di tale meccanismo debba veder coinvolte in vario modo le diverse istituzioni dell’autonomia: collegio dei docenti, consiglio d’istituto, dirigente, Rsu
- che debba essere definita una pluralità di criteri per assegnare le risorse che saranno definite dalla contrattazione. All’interno di queste linee generali io credo che il contratto nazionale debba essere sovrano nel definire in concreto criteri e modalità.
Scarica la relazione di Mario Ricciardi
Prima dell’avvio della sessione pomeridiana intervengono i presidenti delle Associazioni professionali: Giuseppe Bagni (CIDI), Giancarlo Cavinato (MCE) e Giuseppe Desideri (AIMC).