Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Ricerca » Assegnati ai singoli enti i posti previsti dalla legge di stabilità: l’elemosina alla ricerca pubblica diventa un vero e proprio schiaffo

Assegnati ai singoli enti i posti previsti dalla legge di stabilità: l’elemosina alla ricerca pubblica diventa un vero e proprio schiaffo

I criteri tecnici nascondo scelte politiche alle quali tutta la comunità degli enti di ricerca deve ribellarsi; a prescindere se si è stati premiati o penalizzati, mentre il Ministro in un sussulto di dignità dovrebbe rassegnare le proprie dimissioni.

03/03/2016
Decrease text size Increase  text size

La legge di stabilità ha assegnato agli enti pubblici di ricerca vigilati dal Miur, peraltro riproducendo una separazione incomprensibile quanto odiosa con il resto degli enti di ricerca, 8 Milioni di euro per il 2016 e 9 milioni di euro per il 2017 corrispondenti all’assunzione di 215 ricercatori. Sarebbe opportuno che si spiegasse una volta per tutte, quale discrimine sia rispetto alla esigenza di finanziamento della rete della ricerca pubblica di questo Paese, essere vigilati dal Miur piuttosto che da altri ministeri. Sempre più, appare evidente l'urgenza di aprire una discussione politica sulla necessità di una governance unitaria della Ricerca. Vale la pena chiarire subito che si tratta in ogni caso del recupero di una goccia nel mare di tagli commisurati alla Ricerca sia alla capacità assunzionale – al 25% per i tecnici e al 60% per i ricercatori – che al fondo di finanziamento ordinario – 6 milioni sottratti solo quest'anno-.

All’indomani dell’approvazione della legge di stabilità avevamo già commentato questo stanziamento come poco meno di una elemosina se paragonato non solo alle esigenze del sistema ma all’enorme messe di incentivi alle imprese che rappresentano la vera ossatura degli “investimenti” delle leggi di stabilità 2015 e 2016. Solo gli sgravi per le assunzioni nei settori privati associati alla riduzione dell’IRAP ammontano a 15 miliardi di euro che diventeranno 25 miliardi nel 2017 erogati a pioggia in settori per lo più difficilmente valutabili come strategici per il futuro del Paese. E’ bene avere in mente questi numeri perché deve essere chiaro che le risorse erano e sono disponibili.

Ma l’elemosina per gli enti di ricerca è tale non solo se paragonata alle risorse distribuite al referente principale dell’idea di sviluppo del governo in carica, ma anche a quelle assegnate per lo Human Tecnopole di Milano all’IIT, fondazione di diritto privato finanziata direttamente dal ministero del tesoro. Di fatto, con questo stanziamento, si investono le risorse sottratte negli ultimi anni agli Enti di Ricerca in un polo su cui la comunità scientifica già nutre molti dubbi, in diretta concorrenza con le infrastrutture esistenti. Sia chiaro che qui la questione principale non è il rapporto pubblico/privato ma la costatazione che al livello attuale delle risorse complessivamente investite in ricerca e sviluppo si tratta di un'operazione ridicola e insensata.

Sulle poche risorse stanziate nella legge di stabilità c’è però un altro nodo da evidenziare: la modalità con cui questa mancetta è distribuita tra i diversi enti nel decreto ministeriale di assegnazione.

Infatti, dietro criteri pseudo tecnici si nasconde, in modo neanche tanto velato, l’idea di politica della ricerca del Ministero. Infatti al di là delle indicazioni peculiari per la definizione dei futuri bandi che aprono alla possibilità di diversi contenziosi (orientamenti generici e difficilmente vincolanti dal punto di vista giuridico, deroghe all’obbligo preventivo di scorrimento delle graduatorie in aperto contrasto con la legge, per fare alcuni esempi) o ad evidenti “sviste” come non considerare  nel calcolo metà del personale dei ricerca dell’Inaf o dimenticare nella distribuzione dei pani e dei pesci due enti vigilati dal Miur Invalsi e Indire, ciò che colpisce maggiormente sono proprio i criteri di assegnazione che portano ad alcuni apparenti paradossi.

Una parte delle risorse è distribuita sulla base della VQR 2004-2010. Com’è noto si tratta dell’esercizio di valutazione più screditato della storia, le cui finalità sono state per giunta largamente travisate. Ricordiamo che da strumento di sostegno al Ministero utile a raccogliere elementi informativi per il miglioramento del sistema, è diventato strumento di natura punitiva che ha scatenato una competizione infruttuosa e dannosa tra i nostri atenei e enti di ricerca, veicolo di scelte arbitrarie di redistribuzione dei tagli subiti dal sistema ripartendoli in modo quanto meno asimmetrico.

Non tener conto dei limiti di quella valutazione, peraltro di un esercizio lontano nel tempo, significa voler approfittare dei suoi effetti distorsivi per amplificare una distribuzione delle risorse con un obiettivo molto preciso: penalizzare alcune strutture a scapito di altre sulla base di una precisa scelta politica.

Allo stesso modo è politico il criterio della sostenibilità finanziaria che premia gli enti con i bilanci migliori come se la responsabilità del sottofinanziamento possa essere attribuita alle istituzioni di ricerca e non alle note scelte dei diversi governi che hanno tagliato le risorse per la ricerca.

Del resto queste determinazioni, apparentemente tecniche, sono assolutamente identiche a quelle che stanno portando alla dismissione di un terzo dell’università italiana: aumento a dismisura della quota premiale di un fondo ordinario di dimensioni ormai ridicole assegnata sulla base della VQR combinata con criteri di sostenibilità finanziaria per assegnare le opportunità di reclutamento.

L'effetto è quello appena descritto, drenare le poche risorse disponibili verso alcune istituzioni arrivando al paradosso di attribuire posti da ricercatore ad enti che hanno un numero dipendenti da prefisso telefonico. Oppure mettere sullo stesso piano Enti che hanno finalità diverse come l’Asi che si occupa di trasferimento tecnologico con un ente generalista di 8000 dipendenti  come il CNR.

L’obiettivo di fondo è però chiaro si decide in sostanza di sfavorire l’ente di maggior dimensione cioè il CNR del quale forse in qualche luogo a noi ignoto dove si decide della politica scientifica di questo paese, si è pianificata la chiusura per strangolamento. Colpisce che il nuovo vertice del CNR piuttosto che contestare questa scelta abbia invece ringraziato.

Il classico affama la bestia di reganiana memoria applicato alla ricerca pubblica. Perché penalizzare ancora il maggiore ente di ricerca del nostro paese non può che avere come obiettivo quello di colpire tutto il sistema mascherando con la solita retorica stantia dell’eccellenza e del merito la sostanza della ormai pluriennale politica di destrutturazione della ricerca pubblica.

Al di là di queste considerazioni evidenziamo che la miseria dei posti attribuiti agli Epr indica da sola, comunque, quanto meno l’irrilevanza del Ministro nelle scelte che riguardano settori di sua competenza. Si ricorderà che gli Enti di Ricerca sono stati ignorati dal governo anche al momento della presentazione della legge di stabilità per poi essere recuperati non aggiungendo risorse dirette ma sottraendo una quota di quelle assegnate originariamente alle sole università.

Se a questo aggiungiamo l’investimento enorme su IIT avvenuto senza alcun bando pubblico non possiamo che trarre una sola conclusione.

Il Ministro deve presentare le sue dimissioni come avverrebbe in qualunque paese dove la responsabilità politica ha ancora un significato.

I presidenti degli Enti di ricerca dovrebbero di par loro porre un problema immediato al governo minacciando di dimettersi se il prossimo Documento di programmazione economica e finanziaria  non prevederà almeno il raddoppio delle risorse del fondo ordinario e non si prevederà un piano pluriennale di reclutamento per almeno 10.000 nuovi posti.

Una cosa sola non bisogna fare in un momento così delicato: andare con il cappello in mano e in ordine sparso a chiedere altra elemosina a questo governo. Piuttosto serve una ampia e partecipata iniziativa di mobilitazione dove ciascuno deve fare la propria parte per modificare radicalmente le scelte sulla ricerca pubblica, arbitrarie e totalmente prive di progettualità. Naturalmente saremo i primi a cambiare idea se, come annunciato a più riprese, dal presidente del consiglio verrà finalmente approvato e reso pubblico il nuovo e misterioso PNR che dovrebbe essere accompagnato da investimenti pari a 2,5 miliardi di euro. Attendiamo con trepidazione.